Di giorno madre, di notte… – Estratto dal Capitolo 5

Di notte
[…]

«Mamma, vado a lavarmi, prima che sia pronta la cena».
Quella frase fu come un campanello d’allarme. Perché il ragazzo ci aveva tenuto ad informarla? Si aspettava qualcosa? Certamente no. In qualsiasi caso, lei non sarebbe entrata nella stanza da bagno. Vide Franca che usciva dal bagno.
«Il signorino mi ha detto che non vuole più che sia io a lavarlo. Dice che ormai è abbastanza grande per farlo da solo. Cosa devo fare, signora?»
«Che domande. Lo hai visto anche tu che ormai è già un uomo…»
«Eccome, signora! … Oh, mi scusi, io non volevo…»
«Su, vai a fare qualcos’altro».
L’allusione della domestica circa la maturazione del figlio non l’aveva particolarmente infastidita. Certo non era bello che il personale si permettesse delle confidenze in proposito, ma non era stato fatto con malizia. Invece era ammirevole che il ragazzo avesse rifiutato l’assistenza per il bagno. Non si trattava di una forma di pudore. In casa, tutti è tre erano abituati a qualcuno che gli lavasse la schiena o che gli porgesse gli asciugamani, gli accappatoi o gli asciugasse i capelli. Nella decisione del figlio, Selvaggia volle leggere uno degli effetti positivi dell’educazione militare. Lui aveva scelto di rinunciare ad un vizio.
Qualche minuto dopo, sentì il figlio chiamare a gran voce.
«Franca! Mamma! C’è nessuno in questa casa?».
Lei bussò alla porta della stanza da bagno ed entrò.
«Che succede, figliolo?».
Il ragazzo era in piedi, in mezzo alla stanza e completamente nudo.
«Non trovo più gli asciugamani!».
Il fatto di aver rifiutato l’ausilio della domestica, non aveva comportato comunque una totale autonomia.
«Lo sai dove sono. Li teniamo sempre nello stanzino della biancheria. La prossima volta, controlla prima di avere tutto quello che ti serve. Ora te li faccio portare da Franca».
Nuovamente si era trovata a tu per tu con la nudità del figlio. Quel corpo così sviluppato era un vero spettacolo. Si chiese se a Francesca Romana sarebbe piaciuto ritrarlo. Glielo avrebbe proposto alla prima occasione. Fu anche rassicurata dal fatto che il membro del giovane fosse in totale stato di riposo, a comprova che quello che era avvenuto mesi prima era un caso isolato.

[…]

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Voglio la mamma – Estratto dal Capitolo 3

Sebbene smaniassi per ulteriori momenti di intimità con la mamma, nei giorni seguenti non feci nulla per forzare la mano in maniera esplicita. Quando ero da solo, continuavo domandarmi quali potessero essere i pensieri di mamma in merito al mio comportamento. Sapevo di non poterne venire a capo, così cercavo di fare altro, di distrarmi in qualche modo. Non era certo difficile, specie perché nel gruppo di amici che frequentavo avevano fatto ingresso un paio di ragazze molto interessanti e tutti noi maschi ci eravamo messi in testa di conquistarle. Insomma, facevamo tutti i galletti e risultavamo una massa di cretini. Era comunque divertente. Avevo le stesse probabilità degli altri e, come gli altri, credevo di averne più di loro. C’era il piacere di mettersi in gioco, di cimentarsi, esporsi anche alla derisione benevola. Mi sentivo particolarmente vivo in quelle situazioni. Eppure sentivo che una parte di me si muoveva autonomamente lungo un percorso intimo e privato. In me c’erano sentimenti che faticavo a comprendere, perché non erano nuovo, quanto una mutazione di quello che avevo sempre avuto in me. Stentavo però a prenderne coscienza, ad accettare il cambiamento. Sempre più spesso mi capitava di pensare al senso della famiglia, riflettendo sugli strani legami che si creano all’interno e che possono andare oltre ciò che è dato di natura. Alla mia famiglia mi ero sempre sentito legato perché ci ero nato dentro, quindi senza la necessità di mettere in discussione lo stato di cose. Eppure potevano esserci altri aspetti che andavano considerati. A quell’età era naturale sviluppare un senso di competizione e di rifiuto dell’autorità paterna. Con mia sorella invece non c’erano particolari tensioni, anche perché avevamo ciascuno il proprio spazio e quindi era difficile entrare in conflitto. Alla mamma volevo un gran bene. Ma ora la vedevo con occhi diversi. Non era solo mia madre. Era una donna. Una donna molto particolare e che mi era vicina. Ciò innescava in me altri desideri e i desideri premevano per mutarsi in azioni e prendere vita.

Ormai l’aspettavo al varco. Così la volta successiva che tornò in camera dopo il bagno, mi precipitai da lei e mi offrii di passarle la crema sulle gambe.
«Grazie, tesoro, ma ho già fatto»
«Ah, sì?», ero interdetto. Eppure non ero arrivato tardi. Evidentemente doveva essersela messa quando ancora era nella stanza da bagno.
«E non te la devi mettere anche sulla schiena?»
«Dove potevo, l’ho già fatto…»
«Allora lascia che finisca io. Posso arrivare dove tu non riesci. Mettiti già sul letto e fatti massaggiare»
Non fece resistenze. Si mise prona e fece scivolare l’asciugamano verso le reni, scoprendo tutta la schiena. Cominciai dalla nuca e dalle spalle, ma il mio sguardo la percorreva tutta, sino all’asciugamano e oltre, dove la pelle delle cosce tornava ad essere nuda. Ci mettevo molto impegno e facevo tutto lentamente. Per qualche breve istante sfiorai persino i seni che emergevano dai lati della schiena, poiché erano schiacciati contro il letto. Solo lievi sfioramenti che lei poteva interpretare come accidentali. Ed infatti non reagì in alcun modo. Arrivato ai fianchi, l’asciugamano mi costringeva a fermarmi, a meno che… Senza interrompere il movimento massaggiante delle mani, scesi ulteriormente, spostando la stoffa fino a dove la carne cominciava a rialzarsi per creare quei due emisferi ancora sodi e ricchi di fascino. Mamma era rilassata e non diceva nulla. Andai avanti e ad ogni movimento la stoffa arretrava leggermente. Ormai la salita era terminata e cominciava la discesa. Volevo arrivare al punto in cui la fenditura delle natiche lascia il posto ad altre carni ben più segrete, ma per l’ennesima volta la mamma mi fermò prima che ciò potesse avvenire. Aveva come un sesto senso per intuire quale fosse il punto critico e fermarmi giusto un istante prima.
«Grazie, piccolo mio, sei stato così bravo e rilassante che ora voglio riposare un po’», nel mentre, col lenzuolo si ricoprì il corpo e poi fece scivolare da sotto l’asciugamano, che cadde sul pavimento. Era nuda eppure non la potevo vedere. Le diedi un piccolo bacio sulla testa e la lasciai sola. Ancora una volta mi ritrovavo nudo ed eccitato e ancora una volta mi vedevo costretto comunque ad essere grato di ciò che avevo avuto, perché era molto più di quanto fosse lecito desiderare. Ero attratto da mia madre, le volevo bene e la desideravo. Riuscivo a far conciliare questi aspetti altrimenti esclusivi tra di loro. Provavo un forte senso di passione, indefinito ma intenso. Mancava di un obiettivo finale, eppure era un motore potente, un magnete ed uno stimolo. Anche in quell’occasione mi ritirai nella mia stanza per darmi piacere immaginando il seguito che non c’era stato e pensando che forse la mamma mi aveva allontanato perché anche lei era stata eccitata dal mio contatto e quindi ora stava facendo la medesima cosa che facevo io, pensando a me. Sarebbe stato fantastico poterlo sapere.

[…]

Fu notevole la sorpresa il giorno in cui la mamma, prima di andare a fare il bagno, mi chiese se dopo le avrei passato io la crema sul corpo. La tendenza della mente umana è quella di interpretare gli eventi secondo un modello preconcetto che torna a proprio vantaggio, trascurando eventuali alternative meno confacenti. Se la mamma voleva che io le spalmassi la crema, significava che le aveva fatto piacere che lo avessi fatto la volta precedente, ma anche che era disposta a farsi vedere nuda e toccare da me. Era l’unico ragionamento che la mia mente poteva ammettere e questo era il pensiero che mi animava nell’attesa che la mamma finisse e mi chiamasse.
Entrai nella sua camera da letto molto agitato. Era un’eccitazione interiore, accompagnata da aspettative e timori. Cercavo di farmi coraggio perché sentivo che la paura mi spingeva a farmi piccolo piccolo. Una parte di me voleva che la mamma mi vedesse come il suo cucciolo da proteggere e questo contrastava coi miei desideri morbosi che mi avevano portato a quel punto.
Volle che cominciassi dalla schiena, così si mise nuovamente a pancia in giù, sul letto, spostando l’asciugamano.
«Se devo metterti la crema anche sulle gambe, questo non ti serve», le dissi, mentre toglievo completamente l’asciugamano e mettevo alla luce i suoi glutei tondi. Lei non fece obiezioni. Finalmente era completamente nuda, anche se l’essenziale restava precluso al mio sguardo. Fui minuzioso e capillare nel massaggiarle il corpo. Ebbi solo un attimo di esitazione quando si trattò di toccarle i glutei. Quasi mi tremavano le mani e sentivo l’erezione pulsare nei pantaloni. Mi muovevo con delicatezza, ma il desiderio era quello di affondare le dita nella carne e divaricare quanto possibile i due globi per poter svelare i suoi pertugi. Non ne ebbi il coraggio, anzi mi affrettai a passare alle cosce e poi giù verso i polpacci.
«Girati, che ti passo la crema sul davanti»
«No, grazie, caro, quello posso farlo da sola. Ora puoi andare».
Che cosa mi ero aspettato? Che lei si voltasse e si offrisse totalmente a me? Una parte di me, effettivamente, era quello che aveva sperato, ma era un’aberrazione della mia mente che non avrebbe potuto avere alcun fondamento. Deluso, mi ritirai nella mia camera e neppure potei masturbarmi, perché di lì a poco arrivò Mara, tornata dalla palestra, che si mise a chiacchierare di non so neppure cosa.

[…]

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Iniziazione – Estratto dal cap. 2

La masturbazione maschile: presto è bene, tardi è meglio

Per alcuni giorni Livio e Camilla non si sentirono. L’emozione che lui aveva provato era stata forte, oltre le aspettative, ed ora non sapeva cosa fare né se ci sarebbe stata una qualche forma di continuazione. Avrebbe voluto vedere e toccare ancora e ancora quel piccolo seno perfetto e sodo, oppure fare qualcosa d’altro, qualsiasi cosa. Lei non era neppure andata a trovare la madre, quindi non avevano avuto occasione di rivedersi neppure in quelle circostanze. Più di una volta avrebbe voluto raccontare agli amici quell’avventura, ma tenne fede alla promessa fatta e conservò il segreto anche quando gli altri si vantavano di cose poco credibili. 

[…]

Si era aspettato – o meglio, aveva sperato – di trovare Camilla con un abbigliamento più discinto, invece quella che gli apriva la porta era la sua amica di sempre, con jeans sbiaditi che terminavano in un paio di stivali alla cow-boy ed un maglioncino sformato che obliava la forma dei seni che ormai lui conosceva. Andarono in cucina, dove la ragazza stava trafficando con pentole e tegami.
“Apri il frigo e prendi quello che vuoi”, gli disse. Il ragazzo si servì e si mise a fare merenda.
“Di cosa vuoi parlarmi?”, gli chiese dopo un po’. Livio si riempì la bocca con un grosso boccone di pane e salame, tanto per avere un po’ più di tempo prima di rispondere.
“Vale sempre la nostra regola, vero? Ho ripensato molto a quello che ci siamo detti l’altro giorno. Insomma, tu mi hai spiegato che io sono a posto dal punto di vista fisico, ma io non ne sono sicuro. Ieri sera guardavo un video e c’erano degli uomini che avevano dei cosi enormi eppure tutti loro erano così. Cioè, voglio dire… Mi sembra che quella sia la dimensione normale e che il mio è troppo piccolo”
“Dai, non essere sciocco”, disse lei, rassicurante. “Lo sai anche tu che per fare quel lavoro gli attori debbono essere superdotati”
“Ma quello non era un porno. Cioè sì, era un porno ma era un film amatoriale, fatto da persone vere e normali, solo che mi sembrava che ce lo avessero tutti più lungo del mio”
“Gli uomini si fanno un sacco di problemi per niente”. Intanto si era andata a sedere di fronte a lui. “Le dimensioni non contano più di tanto, anzi, un pene troppo grosso può essere doloroso per la donna e, se è davvero troppo lungo, finisce che l’uomo non riesce neppure ad inserirlo fino in fondo e quindi perde un po’ di sensibilità”. Lei era molto seria e distaccata nel parlargli.
“Ok, ma io non dico che lo vorrei enorme, ho solo paura che il mio possa essere troppo piccolo… Non è che posso fartelo vedere, così poi mi dici?”.
Camilla rimase un po’ sconcertata da quella proposta. “Guarda, non credo che sia il caso. E poi l’ho già visto l’altro giorno, ricordi? Già così si capiva che vai bene”
“Ma no, cos’hai capito? Io intendevo se tu volevi vedere con me il video per dirmi se quelli erano davvero persone comuni e se i loro cazzi sono normali o no”. Camilla avrebbe voluto sprofondare per la vergogna.
Andarono in camera di lei, dove c’era un vecchio computer con la connessione a internet. Livio ritrovò facilmente sul web il video della sera prima in cui un paio di ragazze venivano possedute in varia maniera da quattro energumeni dai membri davvero possenti. Nelle intenzioni di chi aveva girato il filmato, il tutto doveva avere la parvenza di naturalezza e di un prodotto casalingo, ma alcuni dettagli, come il fatto che gli uomini fossero dei palestrati, tutti e quattro con capelli lunghi raccolti in una coda e non indossassero slip sotto i pantaloni, facevano pensare che appartenessero all’ambiente dei film porno. Questo Livio lo sapeva, ma sperava che Camilla non fosse così esperta e, comunque sia, era solo il pretesto ed era andata bene che la donna avesse accettato di guardarlo insieme.

[…]

“Dio, che figura di merda che ho fatto”, esordì improvvisamente Livio, mentre stavano guardando un documentario su di un canale tematico.
“Non ci pensare, sono cose che succedono e non vale la pena dargli importanza. Non ti era mai capitato prima? Che so, magari ti sei svegliato qualche volta ed eri così. Sai, è una cosa normale. E’ un meccanismo biologico. Si fanno sogni erotici e si ha un’eiaculazione. Una specie di valvola di sfogo. E’ la natura che viene in aiuto”
“Ad essere sincero, credo che la natura non abbia bisogno di aiutarmi, con tutte le pippe che mi faccio”. Rise ed anche lei, alla fine, si associò. “Comunque non mi era mai capitato da sveglio, anche perché nessuna donna aveva mai messo la mano così vicina al mio coso mentre ero eccitato. Pensi che anche la prossima volta che una ragazza gli si avvicinerà, succederà lo stesso? Sarebbe un bel pasticcio, non credi?”. Camilla abbassò il volume del televisore.
“Ci sono molti fattori che possono incidere. L’emozione a volte gioca brutti scherzi, ma poi ci si fa l’abitudine. Comunque sia, tu puoi anche cercare di avere più controllo su questa cosa. Ora ti faccio una domanda: quando ti masturbi, vieni subito o resisti il più possibile? Intendo dire se ti lasci andare e ti sfoghi, oppure attui qualche metodo per cercare di controllarti, di ritardare… O magari invece, quando sei da solo e tranquillo già di tuo resisti molto a lungo”. Lui disse che di solito erano cose molto brevi, pochi minuti e poi si lasciava totalmente andare, anche perché aveva sempre paura che sua madre entrasse da un momento all’altro. Quando era sicuro che in casa non ci fosse nessuno o era in posti che lui riteneva sicuro, allora riusciva a farlo per più tempo. Non sapeva bene per quanto, ma sicuramente più che a casa.
“Ok, se non ti dà fastidio parlarne, posso darti qualche consiglio su come controllarti meglio. In fin dei conti non è solo una questione fisica. Molto dipende dalla testa, quindi puoi interrompere i pensieri più eccitanti per pensare a qualcosa che abbassi la pressione, poi ci sono anche dei modi più fisici”. Gli parlò della frequenza del movimento, della posizione della mano e di altre cose. Lui ascoltava con la massima attenzione, ma, senza che neppure lui se ne fosse accorto, gli era venuta una potente erezione che traspariva ampiamente dai pantaloni della tuta. Anche Camilla se ne avvide.
“Certo che hai tutta l’impetuosità che la tua età comporta e non si può nascondere”. Con lo sguardo ammiccò all’asta del pene che tendeva la stoffa come il palo centrale di una tenda da campeggio. Livio si fece rosso in viso e cercò di coprirsi con un cuscino del divano.
“No, dai, non ti preoccupare. E poi non vorrei che mi macchiassi anche il cuscino. Dalla seta certe macchie vanno via più a fatica”. La battuta non fu presa da lui come lei aveva sperato. Si rese conto subito della gaffe, perché gli faceva credere che lui non sapesse controllarsi e che quindi avrebbe ripetuto l’esperienza di poco prima. “Scusa. Una battuta infelice davvero”. Il ragazzo si sentiva mortificato; al tempo stesso l’erezione non accennava a passare. “Guarda il lato positivo”, aggiunse lei, cercando di rimediare. “Almeno così abbiamo avuto la riprova che sei delle giuste misure, anzi, direi anche abbondanti. E poi hai anche avuto una ripresa abbastanza veloce dal precedente orgasmo, che non fa mai male”. Livio si sentì rincuorato.
“Sai, io mi masturbo spesso, anche più volte al giorno”, disse con una punta di orgoglio.
“Perché lo fai così di frequente?”
“Non saprei. Mi eccito, mi piace, vengo, ma poi dopo un po’ ho ancora voglia”
“Sei sicuro che farlo in questo modo ti appaga del tutto”
“Vengo, quindi credo di sì”
“Intendevo in un senso più profondo, non fisico. Cioè, mi chiedevo se per caso non ti masturbassi di continuo perché la tua mente non trova sufficiente appagamento ed ha bisogno di qualcosa di più”
“Intendi una donna?”
“No, intendo un modo più consapevole di vivere la tua sessualità, ma forse sbaglio, perché tu sei ancora giovane e quindi segui l’istinto e probabilmente va bene così”. Non era ben sicura di quello che stesse dicendo, forse era pretendere troppo da un ragazzo un livello di maturità sessuale così alto. “Lasciamo perdere. Continua a fare come fai, che vai bene”
“Non dire così. Spiegami. Io ho voglia di capire e di imparare e tu sei la persona migliore per fare questo. Tu hai più esperienza dei miei amici e sei una donna. Tu mi fai vedere le cose da un’altro punto di vista e questo mi piace. Ho imparato tantissimo da te in poche ore, più di quanto non abbia appreso dal web. Tutte queste cose sulle dimensioni e sui tempi, mica te le dicono in rete. Lì si danno da fare come degli stantuffi e fanno gemiti e gridolini e basta. Ti prego, aiutami. Fai in modo che io possa essere un uomo…”. Quasi una supplica.
“Vado a vedere se la lavatrice a finito”, disse lei, lasciando il divano.

[…]

“Però! Davvero notevole, sai. Non sto scherzando. Sei davvero ben messo. Ti ho portato una cosa. E’ un gel lubrificante. Te ne metti un po’ sul palmo della mano e poi cominci a spalmarlo per tutta la lunghezza, dopo di ché ti masturbi. Vedrai che differenza. Migliora lo scorrimento e la sensibilità”. Lui fece come gli aveva detto e cominciò un movimento frenetico del membro.
“No, non così, altrimenti vieni subito! Comincia con piccoli movimenti. Completi. Tutto giù e tutto su. Avvolgente. Morbido. Poi potrai aumentare il ritmo. Devi anche dosare l’intensità con cui ti stringi”. Lei mimò anche i gesti che il ragazzo doveva compiere e lui si adattò immediatamente.

“Wow, è davvero diverso così. Sento… sento tutto come se fosse più intenso e bello e mi sembra che potrei farlo a lungo”. Non si capiva se lui fosse più preso dal piacere fisico o dall’emozione di farlo di fronte ad una donna che gli dava consigli su come agire. “Però… però temo che non resisterò ancora a lungo”, disse all’improvviso.
“Ok, non perdere la calma. Riduci il ritmo. Ora, con l’altra mano, vai in basso, sotto i testicoli. Fai un po’ di pressione lì. Respira a fondo e cerca di rilassarti un po’. Ecco, così va bene”. Il ragazzo era ancora molto eccitato, ma stava gestendo bene la situazione. “Facciamo un’altro esperimento. Metti questo gel sul prepuzio”.
“Su cosa?”, chiese lui.
“Sul glande… Sulla cappella… Insomma, sulla punta del cazzo!”. Non che lui non avesse compreso, ma voleva sentire lei pronunciare quella parola.
“Ora muovi il pollice sopra, sfrega lentamente e tutto intorno. Con l’altra mano toccati i testicoli. Sempre con delicatezza. Massaggiati”
“Accidenti, è bellissimo. Non avrei mai immaginato”. La sua voce era un po’ rotta dal piacere che provava.
“Stai andando alla grande. Hai una buona resistenza”
“Sì, ma ormai non so quanto posso durare. Ho tanta voglia… e ormai mi fa male anche il braccio. Non l’ho mai fatto così a lungo. Non so se ce la farò a finire. Credo mi stia venendo un crampo”
“Allora lasciati andare, oppure cambia mano”
“Con l’altra non ci riesco bene e così è troppo bello per rinunciare, ma è tutto così strano, è come se volessi esplodere ma non ci riuscissi”. Si percepiva che la situazione non poteva essere protratta più a lungo di così e che il piacere sarebbe stato sminuito dalla fatica, se non avesse dato sfogo all’orgasmo. Lei si era seduta di fianco a lui e guardava la mano che si muoveva sempre più rapidamente sul membro gonfio e rosso.

[…]

La prossima volta ti farò provare qualcosa di ancora più stimolante. Ti dico solo una parola: fellatio”.

(… continua…)

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La versione di Valeria – Estratto dal Cap. 1

Scrivo questa storia che ha dell’incredibile, ma che ho vissuto in prima persona, sulla mia pelle e di cui ne conservo le cicatrici sull’anima La scrivo, perché solo di recente ho scoperto che mio figlio ha voluto mettere sulla carta gli eventi che hanno condizionato la sua esistenza, che l’hanno resa difficile e fuori da ogni regola morale e naturale e di questi eventi io ne sono stata in gran parte artefice o complice. Per caso, mettendo ordine tra le carte di Filippo, mi è capitato tra le mani un manoscritto, che ho cominciato a leggere con curiosità, poiché non era da lui dedicarsi alla scrittura o tenere un diario. Con grande stupore, mi sono resa presto conto dell’argomento e del periodo a cui faceva riferimento. Sono rabbrividita, ma non ho desistito, immergendomi nella lettura di quelle pagine scritte con la sua calligrafia minuscola precisa. Ho rivissuto quegli eventi dolorosi attraverso gli occhi di un giovane uomo, ho potuto percepirli come lui li ha vissuti e comprendere quanto dolore io gli abbia arrecato venendo meno a quelli che sono i doveri di una buona madre.
La sua narrazione, di soli pochi anni posteriore agli eventi trattati, ha riportato a galla quello che a lungo ho cercato di cancellare dalla mia mente, di relegare nei recessi più profondi dell’anima, in un vano tentativo di lasciarmi alle spalle un periodo difficile, pur con la consapevolezza che certi fatti non si possono dimenticare: restano scolpiti nella nostra storia.
Ora che lui non c’è più, poiché il destino ha voluto punirmi anche attraverso la privazione del mio adorato figlio, e adesso che anche il mio tempo si assottiglia di giorno in giorno, sento il bisogno di ripercorrere le tappe di quel cammino che per alcuni anni della mia vita ha rappresentato la sola ragione di esistenza, al punto di farmi smarrire il cammino e portarmi su un sentiero tanto pericoloso e deviato che la mia mente, per difendersi dalla mostruosità a cui mi stavo abbandonando, ha finito per ribaltarne le apparenze e presentarmelo come un viale lastricato ed illuminato dal sole, da percorre con gioia e piacere a tutta velocità, senza timore delle conseguenze.
Devo rivivere quegli eventi, devo scendere ancora una volta agli inferi e raccontare, forse anche nel vano tentativo di giustificarmi, la mia versione di quelle vicende così strane, così malate, che hanno portato alla rovina mia e di colui che mi era più caro al mondo. Perché io lo so: la colpa è soltanto mia, ma non c’è più nessuno a cui chiedere perdono.
Sono passati così tanti anni che forse la mia memoria non sarà più precisa. Ho ricordi discrepanti, a volte, con quanto scritto da mio figlio. Spesso mi sovviene un evento narrato da lui, però in me ha un senso diverso… Ma non voglio fare una revisione del suo testo né un’operazione filologica. Sento solo il bisogno di raccontare, di tirare fuori questo segreto che mi grava da troppo. Di dare sfogo al mio rinnovato dolore che le pagine vergate dal mio Filippo hanno riacceso con tale violenza.

[…]

Ripenso spesso a certi momenti. A come lui bambino si soffermava a guardare il mio corpo nudo sotto la doccia e mi chiedeva perché io avessi i seni grossi e se sarebbero venuti anche a lui. Oppure quando correva da me con suo piccolo pene in mano e mi prendeva in giro perché io non lo avevo. Una volta mi chiese se, per caso, io non nascondessi il mio tra i peli. Gli spiegai che uomini e donne erano diversi e che io, al posto del pene, avevo la vagina, che però non era molto diversa. Lui andò a frugare tra le mie gambe e scoprì il clitoride. Tutto soddisfatto mi disse che invece ce l’avevo anch’io, solo che era molto piccolo e timido, quindi si nascondeva lì dentro. Ridemmo. Filippo doveva avere non più di quattro anni. Molti anni dopo, gli raccontai quell’episodio. Lui non se ne ricordava più.

[…]

Perversione madre – La versione di Valeria

Perversione madre – La versione di Filippo

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Perversione madre – Estratto dal Cap. 3

[…]

– Quante sciocchezze. Tu sarai bella per sempre, mamma. Chissà quanti uomini vorrebbero uscire con te. Credi che non mi accorga degli sguardi che ti lanciano, quando sei in giro. Sei giovane, sei splendida e di classe. Puoi avere ai tuoi piedi tutti gli uomini che desideri…
– Ma forse sono io che non li desidero. Lo sai bene che le avventure non mi sono mai mancate. Non ti ho fatto mistero degli uomini che ho frequentato. Molti di loro li hai conosciuti. Dopo tuo padre, ho avuto così tante storie che mi sono anche stufata. Anche con Paolo forse è successa la stessa cosa. L’unico uomo a cui sarò sempre fedele è il mio vero grande amore e sei tu… Ma non per questo devi stare qui a farmi da bastone della vecchiaia. Non sono ancora arrivata a quel punto e, quando lo sarò, forse tu sarai già stato preso da una bella ragazza che avrà rubato il tuo cuore e ti avrà fatto dimenticare questa stupida madre un po’ nostalgica e sentimentale.
– Basta con questi discorsi. Devi uscire anche tu. Devi vivere fuori dalle mura di questa grande casa. Promettimi che domani sera uscirai.
– Uscire? Per andare dove? E con chi? Anche volendo, non saprei chi chiamare. Ho allentato i contatti con quasi tutti. Le mie amiche sono maritate e non conosco uomini liberi che stanno lì ad aspettare una mia chiamata. Mi sembra così patetico solo pensare di mettermi a spulciare l’agenda telefonica e provare a chiamare tutti quelli che conosco per ottenere solo rifiuti o banali scuse.
– Oh mamma, come sei negativa. Allora sai cosa facciamo, domani sera ti metti elegante e ti porto io a cena fuori. Ma non come mamma e figlio. Giochiamo a fare la coppia ed io ti tratterò da signora e ti farò la corte come un vero spasimante.
– Sei un tesoro. Sarebbe davvero carino. Era un gioco che facevamo tanto tempo fa, quando eri più piccolo… Okay, ci sto. Vada per domani sera. Mi faccio trovare pronta per le otto. Anche tu, però, ti devi mettere elegante e hai il compito di scegliere dove andare. E mi dovrai chiamare per nome. Non dovrai mai chiamarmi mamma. Intesi? Voglio fare la matura signora corteggiata dal giovanotto aitante.
Da bambino avevo gioca tante volte a fingermi il fidanzato di mamma. Era un gioco solo nostro, che risultava un po’ ridicolo agli occhi di chi ci vedeva, ma noi ci divertivamo. Sarebbe stato interessante, questa volta, vedere quali reazioni avremmo suscitato. Lei era una giovane piacente donna ed io, con abiti eleganti, potevo dimostrare alcuni anni in più, forse anche venticinque, almeno speravo. Insomma saremmo potuti passare per una coppia un po’ eccentrica, ma pur sempre una coppia.

Il mattino seguente, era sabato, avevo un appuntamento con alcuni amici, in centro. Volevamo andare a fare incetta di compact disc dei nostri gruppi preferiti. Ci piaceva andare nei grossi negozi di musica, perché potevamo ascoltare i brani in anteprima, e passare un po’ di ore a scovare i dischi più strani. Passò a prendermi Gigio, con lo scooter, e poi ci incontrammo con il Puzzalnaso e Mauro, per prendere un cappuccino al bar e raggiungere il resto del gruppo. Le nostre incursioni nel cuore della città mi piacevano molto, eravamo sempre rumorosi ed allegri. Lasciavamo da parte le questioni scolastiche, anche perché non andavamo tutti nella stessa scuola. Questi erano la mia compagnia, gli amici di lunga data. Con loro mi trovavo bene e credo anche loro con me, sebbene non fossi un assiduo. Alcuni dovevano vedersi tutti i giorni, altrimenti si telefonavano e si raccontavano ogni piccolo avvenimento. Il mio carattere più schivo mi portava a diradare quella frequentazione; non amavo sentirmi vincolato e, se proprio non avevo nulla da fare, me ne stavo per conto mio, piuttosto che al tavolino di un bar o su una panchina, ad annoiarmi con loro. Quando però si organizzavano queste uscite mirate – e questa volta l’obiettivo era andare a scovare un po’ di buona musica – allora ero sempre il primo ad accettare. Era il mio modo di sentirmi parte di qualcosa. Mia madre era soddisfatta del modo in cui gestivo le frequentazioni, perché, ancora una volta, le sembravo equilibrato e non le davo pensieri. La nonna invece non perdeva occasioni per criticare. Se prima mi diceva che dovevo uscire di più, quando mi vedeva con la compagnia, mi rimproverava di frequentare una “banda di spostati”. Inutile dirle che erano quasi tutti ragazzi di buona famiglia; per lei erano solo dei perdigiorno e avrebbero fatto una brutta fine.
– Ehi, ragazzi, che ne dite di questo album, – Mauro alzava un vecchio LP con un donna a seno nudo in copertina. – lo compriamo per ascoltarlo o per guardare questa tipa?
– Ma che è sta roba? Musica per dinosauri? – fu la replica di Gigio.
– Credo sia quel genere che andava di moda negli anni Settanta.
– Oh, ragazzi, – intervenne Puzzalnaso, che doveva dimostrare di sapere sempre qualcosa di più. – Questo è un LP di Papetti. Sono cover rifatte al sax… E le sue copertine erano sempre così.
– Questa mi sembra di conoscerla, – disse Mauro, catalizzando l’attenzione di tutti. – Per caso, Gigio, non è tua nonna?
Scoppiammo tutti a ridere.
– Davvero? – disse un altro. – A me sembrava tua madre, Mauro.
– No, mia mamma è più bella e ce le ha più grosse, – fu la battuta di Mauro, che non se la prendeva se si scherzava su sua madre, che era notoriamente piuttosto brutta.
– Così bella potrebbe essere solo la madre di Filippo, – intervenne Puzzalnaso, indicandomi. – Anzi, la madre di Filippo è anche più giovane.
– Ah ah, Puzzalnaso ha una cotta per la mamma di Filippo, – lo canzonò Gigio. – Ti piacerebbe fartela, eh? Ma una come lei non ti vede neppure.
– Dai, ragazzi, andiamo farci un panino, – intervenni, per cambiare discorso. Negli ultimi tempi ero diventato ipersensibile verso questo tipo di battute, quando toccavano mia madre. Sapevo che a loro piaceva e ci avevamo scherzato tante volte, ma ora non mi andava più, così mi incamminai verso l’uscita, sperando che loro avrebbero presto trovato altri argomenti.

Trascorsi il resto della giornata in trepidazione, pensando ai dettagli dell’abbigliamento e all’organizzazione della serata. Era importante curare i particolari, volevo fare bella figura con mia madre e sapevo che era una donna esigente, anche se avrebbe accettato di buon grado qualsiasi cosa le avessi proposto, persino una pizza o un hamburger. Io le avevo promesso una serata speciale e quindi volevo la certezza di non aver tralasciato nulla. Prenotai un tavolo in un ristorante elegante dove non ci conoscevano, così che neppure i camerieri potessero immaginare che eravamo madre e figlio. L’avevo sentito indicare come uno dei migliori della città e lo aveva nominato un paio di volte anche il nonno, che di buona cucina e di posti raffinati se ne intendeva. Non avevo ancora la patente e non volevo che fosse lei a guidare, così decisi che saremmo andati in taxi. Mia madre fu impegnata per quasi tutto il giorno, ma, ogni volta che la vedevo, le rammentavo l’appuntamento con me. Alle sette, poi, ci ritirammo ognuno nella propria stanza, dandoci appuntamento per l’ora successiva nell’ingresso. Scelsi un blazer, una camicia bianca ed una cravatta regimental. Forse l’effetto finale non mi invecchiava quanto avrei voluto, ma poco importava, perché stavo per andare a cena con lei e non mi sarebbe importato nulla di quello che gli altri avrebbero potuto pensare. Alle otto in punto ero all’ingresso ma lei non era ancora pronta. Ogni donna dotata di uno spiccato senso della femminilità si fa intenzionalmente attendere, anche se è già sul posto. Intanto era arrivato il taxi. La vidi comparire in cima alle scale con un elegantissimo abito da sera blu, molto scollato e che le lasciava scoperte le ginocchia. Non potevano mancare le classiche scarpe col tacco alto, intonate alla borsetta. Una parure in oro bianco dava luce al volto. I capelli erano raccolti sulla nuca ed il trucco esaltava i tratti perfetti del viso. Così bella non l’avevo mai vista.
– Mamma, sei un incanto, sono orgoglioso di poter uscire con te.
– Ah ah, niente “mamma”, questa sera. Solo Valeria e Filippo. Non te lo dimenticare, – mi ammonì bonariamente.
Le aprii la portiera del taxi e la feci entrare. Comunicai l’indirizzo al tassista e rimasi per tutto il tragitto in silenzio, ammirando il profilo di quella donna che, per l’intera serata e solo per gioco, sarebbe stata la mia donna. Il ristorante che avevo scelto le piacque molto. I camerieri erano premurosi e discreti, ma ci guardavano con curiosità. Avevamo deciso di concederci anche una buona bottiglia di vino, sebbene a me non piacesse molto e lei non bevesse quasi mai. Il sommelier fece sfoggio della sua esperienza, più che altro per mettersi in mostra con mia madre, alla quale lanciava profonde occhiate, alcune delle quali, però, finivano per cadere all’interno della scollatura del vestito, sotto il quale non vi era alcun reggiseno. Oltre ad essere infastidito, mi chiedevo quanto fosse eccitante per lui poter sbirciare in quel modo. Comprendevo il potere seduttivo del décolleté, nonostante io avessi visto migliaia di volte il seno nudo di mamma. Per una frazione di secondo, invidiai quell’uomo e desiderai essere al posto suo. Poi riflettei sul fatto che, anch’io, se volevo, potevo sbirciare in quella maniera o anche meglio.
– Cara, come lo trovi questo vino? – dissi con ostentazione, appena il sommelier si fu allontanato.
– Oh tesoro, queste note di frutti rossi e vaniglia sono davvero de-li-zio-se.
Ridemmo entrambi, perché non ci capivamo proprio nulla. Per noi, nonostante si trattasse di una bottiglia molto costosa, era solo un buon vino rosso, che ci dava anche un po’ alla testa. Fu una cena molto bella, con un susseguirsi di pietanze elaborate, dai sapori originali. L’atmosfera del locare era romantica, i suoni ovattati e la clientela apprezzava quel senso di discrezione.
– I signori gradiscono un caffè? – chiese il cameriere, a fine pasto.
– A dire il vero, preferirei un buon brandy invecchiato, – fu la mia risposta decisa. L’uomo mi guardò un po’ perplesso, forse domandandosi se non ero troppo giovane per i superalcolici.
– Uno anche per me, – intervenne prontamente mia madre. – Amore, non ti spiace se bevo insieme a te? – aggiunse, sorniona. In realtà io non avevo mai bevuto del brandy e non sapevo neppure se mi sarebbe piaciuto. Oltre a qualche raro bicchiere di vino, l’unica altra bevanda alcolica che consumavo abbastanza regolarmente, era la birra chiara. Al primo sorso, per poco rischiai di sputarlo tutto sul tavolo. Tenni duro, perché sapevo che il cameriere che ci aveva servito ci stava guardando.
– Bene, cara, se la cena è stata di tuo gradimento, possiamo anche andare. Faccio chiamare un taxi.
Alzarmi dal tavolo fu più difficile di quanto non avessi immaginato. La testa mi girava non poco, ma non volevo che la serata finisse.
– Valeria, la nottata è ancora lunga, ti va se andiamo a prenderci qualcosa in un locale del centro?
Il tassista aspettava una risposta. Forse mia madre avrebbe preferito rientrare a casa, ma comprendeva che volevo giocare ancora un po’ e poi, per entrambi era la prima volta dopo tanto tempo che stavamo un po’ fuori fino a tardi insieme, bisognava approfittarne.
– Certo tesoro. Con te passerei tutta la notte in giro, – e mi fece l’occhiolino.
Andammo in un piano bar dall’atmosfera molto soft, poco affollato. Ci sedemmo su comode poltroncine. Sopra il tavolino, una candela profumata spandeva una luce morbida che tremolava sul volto di mia madre. Mi sembrava felice. Io le ero accanto e la vedevo di tre quarti. Ordinammo un paio di drink leggeri. Non volevo rischiare di stare male e rovinare la serata. Sapevo che se avessi bevuto ancora, poi mi sarebbe venuto da rimettere ed il suo istinto materno avrebbe preso il sopravvento, ponendo fine a quel magnifico gioco. Ricordavo un’occasione in cui ero tornato a casa, dopo un festa nella quale avevo bevuto un paio di birre. Era stato qualche anno prima ed io non ero abituato agli alcolici, neppure a quelli leggeri. Appena messo piede in casa, corsi in bagno e la mamma mi raggiunse per vedere come stavo. Si preoccupò molto più del dovuto e rimase al mio capezzale fino a che non mi fui ripreso. Mi rimproverò, ma blandamente, preferendo spiegarmi che dovevo bere solo quanto mi sentivo, senza bisogno di eccedere o di dimostrare agli altri di reggere l’alcol.
Nel locale c’era anche una piccola pista da ballo. Un uomo si avvicinò a noi. Aveva l’aria di quello sicuro di sé. Avrà avuto una cinquantina di anni e forse anche un passato da playboy.
– Posso avere l’onore di invitarla a ballare.
Fremetti di rabbia e gelosia. La mia serata stava per essere rovinata. D’altro canto mi rendevo conto che avevo portato fuori mia madre proprio perché era da troppo che non usciva con un uomo ed ora che qualcuno si stava facendo avanti, non c’era motivo perché lei non accettasse. La guardai con occhio benevolo, per farle capire che per me non c’era problema.
– La ringrazio, è molto gentile, ma il mio uomo ha già riempito il carnet per tutta la serata. Allora, Filippo, amore mio, andiamo a ballare.
Fui quasi sopraffatto dall’emozione. Non sapevo ballare e non ne avevo voglia, ma come avrei potuto rifiutare, di fronte ad un gesto così carico di affetto? Lei mi stava dicendo che voleva continuare il gioco, che era lì solo per me, non per altro o altri. Così mi porse la mano e scendemmo in pista.
– Accidenti mam… Valeria, avresti dovuto ballare con quell’uomo, io sono davvero una frana.
– Ma dai che non ci vuole molto a ballare un lento.
Le cinsi la vita con un braccio e presi la sua mano nella mia, provando a muovermi senza pestarle i piedi.
– Non stiamo ballando un valzer. Ecco, tienimi così, che è meglio. – Mi aveva preso entrambe le mani e le aveva posate in vita, all’altezza dei reni, mentre le sue mi cingevano il collo. I nostri corpi erano molto vicini. Non avevo ancora smaltito l’alcol della cena e starle così appiccicato, roteando sulla pista da ballo, mi faceva girare ancora di più la testa. Tutto mi sembrava così surreale e bello. Mi sentivo leggero. Ero emozionato, felice ed anche un po’ ubriaco. Continuavamo a ballare ed io la stringevo sempre più a me. I nostri corpi erano a contatto. Con una mano le carezzavo i capelli e, delicatamente la spinsi ad appoggiarsi alla mia spalla. Odorai il profumo che emanava la sua chioma. Chiusi gli occhi e mi abbandonai a questa sensazione di piacere. Tutto intorno a noi spariva. Non sapevo più nemmeno dov’ero.
– Oh, vedo che questo ballo ti sta facendo strani effetti. Forse è meglio se ci andiamo a sedere. – La sua voce mi giungeva come da lontano e non capivo a cosa si stesse riferendo. – Piccolo mio, mi sa che ti sei un po’… emozionato, – mi disse, quando ci fummo distaccati. Teneva lo sguardo basso.
Abbassai anch’io gli occhi e, con grande imbarazzo, vidi che ero in piena erezione e lei non aveva potuto fare a meno di notarlo, dal momento che anche i nostri pubi erano stati a stretto contatto. Ancora una volta dimostrò tutto il suo spirito comprensivo e la grande confidenza tra di noi. Non c’era alcun rimprovero né preoccupazione.
– Tutto sommato, mi fa piacere sapere che le donne non ti lasciano indifferente, anche se magari sarebbe meglio che ciò avvenisse per un’altra donna, piuttosto che la tua mam… la tua Valeria.
Mi sorrise e abbandonammo il locale. Quando il taxi ci lasciò all’ingresso di casa era quasi mezzanotte. Pensai alla fiaba di Cenerentola e non volevo che quell’ora fatidica portasse via il mio sogno. Anche la mamma era felice e spensierata, come non la vedevo da tanto tempo, e forse anche lei un po’ brilla come me. Dovevo fare in modo che il nostro gioco potesse durare ancora un po’, il più possibile.
– Eccoci a casa, Valeria. Allora, come nella migliore tradizione cinematografica, mi sembra doveroso darci il bacio della buonanotte sotto il portone.
– Ma tu non vai da nessuna parte! Non c’è bisogno di salutarci. Abiti qui e non scappi da nessuna parte.
– Sì, ma nel nostro gioco va così ed è giusto darci un bacio sulla porta. Avvicinai il mio volto al suo e ci baciammo delicatamente sulle labbra. Anche altre volte ci eravamo baciati così; non fu nulla di scandaloso. Per me, però, in quel contesto, all’interno dei ruoli del nostro gioco, quel bacio aveva un sapore diverso. Provai un brivido. Rientrammo in casa e lei si tolse le scarpe, lasciandosi andare sul divano. Io allentai la cravatta e slaccia il bottone del colletto. Non vi ero abituato e liberarmene era un grande sollievo.
– Per favore, Filippo, mi passi le sigarette che sono sul tavolino.
– Tieni Valeria… Posso ancora chiamarti così, vero? Il gioco finisce… quando ci risvegliamo domani mattina, no?
– Va bene, tesoro, continuiamo ancora un po’.
Mentre si accendeva la sigaretta, mi accucciai accanto lei, posando la testa sul suo grembo e guardando dal basso il suo volto e la bocca che aspirava il fumo.
– Mi fai fare un tiro? – Le chiesi, ad un certo punto. Ci fu un attimo di silenzio. L’avevo spiazzata. Qui la madre stava sicuramente prendendo il sopravvento sull’amica. Alla fine avvicinò la sigaretta alla mia bocca. Vidi il filtro imporporato del suo rossetto. Anche questo aveva una valenza erotica per me. Aspirai e subito tossii, scatenando il riso in lei.
– Oh, mi è venuto mal di testa. Mi sa che ho fatto male a fumare prima di andare a letto, – disse ad un certo punto, mentre spegneva il mozzicone nel posacenere. – Caro, mi vai a prendere una pastiglia per il mal di testa e le gocce di sonnifero.

[…]

L’intero romanzo è qui, con la versione dal punto di vista del figlio.

Se invece ti interessa il punto di vista della madre, lo trovi qui.

Tutti i romanzi dell’autore li puoi trovare qui.

 

Madre e figlio – Capitolo 8

 

Maef

Se da un lato è normale che un adolescente sia curioso verso il mondo, specie quello che lo circonda e che assume sfumature più misteriose, non si può dire altrettanto del fatto che si interessi così nel dettaglio alle questioni riguardanti la gravidanza, anche se coinvolgono la propria madre. Eppure per me era così. C’era qualcosa di inspiegabile e di attraente in quei libri di medicina. Li prendevo dallo scaffale delle biblioteca quasi con timore ed imbarazzo, perché mi sembrava di fare qualcosa di proibito. Mi aspettavo che, da un momento all’altro, arrivasse un bibliotecario e mi dicesse di rimetterli a posto e di non azzardarmi più a toccare quei volumi. Ovviamente il tutto sarebbe avvenuto davanti all’intera platea dei lettori, attirati dal tono sospettosamente alto di voce dell’addetto ed io sarei stato additato da tutti come colui che aveva osato prendere i libri vietati. Per fortuna le cose andavano diversamente. Svogliavo le pagine con disegni raffiguranti l’interno del ventre femminile, dove c’era sempre un piccolo feto a testa in giù che cambiava di dimensioni ogni volta. Quelle immagini erano carine, se questo termine si può usare impropriamente. Le osservavo con attenzione, cercando di rapportarle a quello che sapevo e che conoscevo del corpo femminile, la cui fonte principale era un altro genere di riviste, dove l’anatomia era totalmente esposta, ma con fini ben diversi da quelli didattici. Mi lasciavano una sensazione positiva, tutto sommato. Le letture dei testi ginecologici e sulla gravidanza, le facevo quando non c’erano i miei compagni di studi, perché mi sarei vergognato tantissimo in loro presenza, soprattutto perché loro avrebbero incominciato a fare commenti su mia madre. Così facevo in modo di essere l’ultimo a restare a studiare e poi, quando ero sicuro che tutti loro se ne fossero andati, sconfinavo e andavo nella sala degli adulti e mi fiondavo nella sezione di testi medici, Oppure ci andavo direttamente, quando sapevo che loro non sarebbero venuti. Dopo le prime volte, sapevo già identificare al volo i testi che avrei consultato. Ad un certo punto mi dissi che sarebbe stato utile poter parlare direttamente con un’ostetrica, un ginecologo, insomma, un esperto, se solo ne avessi avuta l’occasione. Ero deciso a scoprire tutto e volevo anche essere certo che in mia madre ogni cosa si stesse evolvendo nel modo giusto. Se solo lei ed io avessimo avuto un rapporto diverso, mi sarei sentito legittimato ad intromettermi maggiormente nella sua vita privata e nell’avventura che stava vivendo.
MadreincintafiglioComunque sia, dopo che le rivelai che mi ero un po’ documentato sulla gravidanza, lei assunse un atteggiamento diverso nei miei confronti, trattandomi più da adulto, quando mi parlava del bambino o degli esami che faceva. Ricordo che era uno dei nostri soliti pomeriggi domestici con tanto di tazze di tè fumante, televisore acceso e lei allungata sul divano, con la pancia ben in evidenza. Voleva sapere quanto fossi preparato sull’argomento e cosa ne pensassi. Le espressi alcuni dubbi circa quello che non avevo capito e questa volta rispondere alla mie domande le venne molto naturale. Si era aperta una nuova fase. Avevo fatto il primo passo verso di lei e lei ne aveva fatto uno verso di me. Era un terreno nuovo per entrambi e quindi non sapevamo in che direzione ci stessimo muovendo. Mi resi conto che la mancanza di confidenza che aveva caratterizzato il nostro passato era dovuta principalmente alla timidezza reciproca, che aveva finito per calcificarsi. Ci eravamo voluti bene, ce lo eravamo detti e lo avevamo manifestato in mille modi, ma avevano anche delimitato delle aree invalicabili. Adesso, prima con la goffaggine e poi con la curiosità, in qualche modo avevo rotto quella barriera che ci teneva distanti e lei si sentiva esaltata dal consolidamento del nostro rapporto madre figlio e vedeva nel suo nuovo stato fisico una buona opportunità per entrambi per fare un ulteriore salto di qualità, lasciandoci alle spalle un rapporto più immaturo, per passare ad una fase più adulta. Forse molto dipendeva dagli sbalzi ormonali, oppure era una reazione al momentaneo distacco del suo uomo. Difficile a dirsi. Tuttavia percepivo che lei aveva bisogno della mia vicinanza. Bramava il mio affetto, voleva che lo ribadissi di continuo. Sentiva il desiderio di aprirsi e confrontarsi con qualcuno che le fosse prossimo abbastanza perché potesse confidarsi e anche sufficientemente adulto da poterla ascoltare e comprendere. Un giorno arrivò a dirmi che adesso era contenta di quel figlio che stava arrivando, perché era come se, insieme a lui, fossi nuovamente arrivato io. Vedeva in quell’evento l’occasione per recuperare quel legame che si era perso tra di noi, o meglio, che non eravamo mai riusciti a costruire del tutto. Proprio quello che pensavo anch’io.
Ero felice per lei. Passavamo molto più tempo insieme ed avevamo un argomento in comune. Ogni giorno mi raccontava come si sentiva, cosa le capitava, che pensieri aveva. Si rese conto di non avere delle amicizie tali da permetterle quello che invece ora poteva fare con me. Stare lontana dal lavoro le era servito per comprendere che i legami tra colleghe erano belli e solidi fino a che erano tenuti insieme dal lavoro stesso. Poi ognuno aveva la propria strada, la famiglia, un intero mondo che non poteva o non voleva condividere. Allora si era sentita più sola.
Purtroppo perdurava anche la fase di distacco dal suo uomo. Era strano come lui reagisse adesso che lei era rimasta incinta. Tanto a lungo lui stesso aveva insistito sull’opportunità di un figlio tutto loro per consolidare il legame e adesso si teneva alla larga il più possibile, come se ne fosse spaventato. Facevo fatica a comprendere queste dinamiche e mi rendevo conto che la mamma non ne parlava molto volentieri. Preferiva concentrarsi sul bambino, piuttosto che sul padre. Di sicuro c’era che era diventata molto più loquace con me e cercava di continuo la mia compagnia, quando ero in casa. Cominciavamo a parlare di tutto. Qualche volta andavamo anche su temi più personali e miei. Quando provò a farmi qualche domanda intima circa la mia sessualità, mi sentii meno a disagio a risponderle, anche perché avevo davvero ben poco da dire. Invece riuscii a porle io qualche piccola curiosità circa la propria vita sessuale. Venni a sapere che non aveva più rapporti col suo uomo da parecchi mesi, perché lui era quasi atterrito dall’idea che dentro di lei vi fosse un altro essere umano e quindi faticava ad approcciarsi sessualmente a quel corpo. Fu una grande confidenza da parte sua. La mamma arrivò persino a dirmi era spesso molto desiderosa e quindi doveva darsi soddisfazione da sola. Me lo disse con tono complice, alludendo a quella volta in cui l’avevo sorpresa con le mani nel sacco. Non c’era malizia, ma voleva solamente sottolineare che quel momento imbarazzante era ormai passato e che ora lo avevamo trasformato in qualcosa di positivo per noi due.

Parlare così spesso del corpo femminile e di quello che ci stava intorno, se da un lato mi faceva piacere perché metteva in luce un aspetto nuovo di mia madre, un lato che apprezzavo molto, dall’altro era quasi una sorta di bombardamento psicologico inconscio. I sogni erotici erano più frequenti e anche il mio desiderio sessuale sembrava non trovare pace. Molto probabilmente era solo una conseguenza del mio sviluppo fisico, che proprio in quel periodo si stava manifestando con maggiore intensità. Le due cose venivano a coincidere. Comunque sia, quando sfogliavo insieme a lei le riviste specializzate per le donne in gravidanza, spesso bastava una foto di un seno che allattava per provocarmi una forte erezione. Va bene che ormai con la mamma c’era un buon rapporto, ma quando sentivo il rigonfiamento premere nei pantaloni, mi vergognavo molto e cercava di andarmene nelle mia stanza o in bagno senza che lei ne indovinasse la ragione. Poi non sempre mi masturbavo, ma almeno avevo la possibilità di tornare alla normalità prima di avvicinarmi di nuovo a lei.
Un pomeriggio, al mio rientro dopo la biblioteca, trovai la mamma in salotto in compagnia di una sua amica. Anche l’altra donna era incinta ed era all’ottavo mese. Si erano conosciute nella sala d’attesa dello studio dove facevano le ecografie e avevano socializzato subito, essendo entrambe lavoratrici in maternità e quindi con il comune disagio derivante dal sentirsi tagliate fuori da un contesto nel quale avevano investito tanto tempo ed energie. Dopo le presentazioni, mi invitarono a sedermi con loro e la donna mi fece le solite domande sulla scuola e su quello che volevo fare da grande. Poi cominciarono a parlare di quello che era il loro argomento principale. Mia mamma fece notare alla sua amica che io ero molto ferrato, così la donna, mentre parlava, si rivolgeva anche a me, coinvolgendomi nella conversazione. Discorreva con grande naturalezza, come se anch’io fossi gravido. Raccontava di quanto le capitasse di andare al bagno, giorno e notte, di come sentiva il bambino (in realtà era una bambina, ma lei generalizzava, forse per scaramanzia) muoversi, di quanto le si fossero ingrossati i seni e fossero sensibili i capezzoli. Parlò di cose molto intime nonostante la mia presenza, come se io avessi diritto a presenziare a quella discussione forte di una grande esperienza. Un po’ mi inorgogliva, perché mi faceva sentire grande e accettato. Lei era una bella donna, appena più vecchia di mia madre di pochi anni ed era alla terza gravidanza, tutte avvenute all’esatta distanza di cinque anni l’una dall’altra. Aveva un modo di fare molto buffo, perché quando parlava gesticolava molto, ma usava anche una mimica corporale tutta sua, specie se doveva riferirsi a se stessa. Così, parlando del seno, continuava a mettersi le mani addosso, a stringerlo, spingerlo e additarlo. Aveva una pancia molto grossa ed ingombrante. Stava seduta con le gambe larghe e il divano sembrava che se la stesse inghiottendo. Quella posa totalmente scomposta però faceva sì che io, trovandomi proprio di fronte a lei, mentre mia madre era di lato, avessi una visione dell’interno delle sue cosce, fino al punto di vedere lo slip. Non me ne rendevo conto, ma da un bel pezzo il mio sesso era teso e pulsante nei jeans. Fortunatamente neppure le donne vi avevano fatto caso. Ero però molto eccitato e rischiavo di venire nei pantaloni. Con studiata noncuranza mi alzai, dicendo che andavo in camera mia, invece corsi in bagno. Volevo masturbarmi continuando a pensare a quelle cosce un po’ divaricate che finivano in quella pancia immensa. Mi figuravo i seni gonfi e sensibili e mi chiedevo come sarebbe stato toccarli. Era la prima volta che mi masturbavo pensando ad una donna incinta ed era stata un’esigenza improvvisa ed intensa. Ero sul più bello quando si spalancò la porta del bagno che avevo dimenticato di chiudere a chiave. La mamma mi guardava con espressione sconcertata. Le avevo detto che sarei andato in camera, per cui non si aspettava di vedermi lì dentro, coi pantaloni abbassati, il membro turgido e gocce di liquido che mi colavano dalle mani. Rimase in silenzio, fece un passo indietro, chiuse la porta e mi lasciò solo nella mia vergogna. Avrei voluto morire. Se avessi avuto una macchina del tempo, sarei tornato indietro di cinque minuti, giusto in tempo per chiudere a chiave quella maledetta porta. Restai in bagno per parecchio tempo e poi sgattaiolai nella mia stanza. Mai mi ero trovato in una situazione così imbarazzante. Questa volta proprio non sapevo cosa fare. Immaginai di rimanere chiuso lì dentro per il resto dei miei giorni, trasformandomi in una sorta di monaco pazzo, un asceta scemo, un disadattato.
Dopo un po’, sentii bussare alla porta.
– Tesoro? Sono la mamma.
Già, chi altri avrebbe dovuto essere?
– Non ti dispiace se entro?
Veramente io non solo non avrei voluto che entrasse, avrei preferito sparire del tutto. Intanto lei stava già girando la maniglia.
– Piccolo mio, non fare quella faccia. Immagino come ti senti. A ben vedere è come mi sono sentita io solo qualche tempo fa. Facciamo come allora. Diciamo che siamo pari e che non è successo nulla. Ti va?
uomo-masturbazioneLei sapeva sempre come sanare le situazioni. Aveva un’abilità particolare nel “mettere una pietra sopra” ad ogni cosa. Fu così che ci chiarimmo per l’ennesima volta e ci lasciammo più sereni. Un po’ di vergogna la provavo ancora, ma non mi sentivo più sporco e mortificato. Va bene, ora lei aveva la prova che io mi toccavo ma, per fortuna, ero stato io a scoprire lei per prima. Psicologicamente questo mi dava un certo vantaggio e obbligava lei ad una maggiore comprensione. Se non ci fosse stato quel precedente, tuttavia, sono certo che lei non mi avrebbe rimproverato, però era andata meglio così. Le due situazioni non erano proprio equivalenti, perché quando ero franato nella sua stanza, non avevo visto nulla della sua nudità, mentre lei mi aveva sorpreso con il membro in mano e tracce della mia eiaculazione ben in evidenza. Certo, anch’io ero stato un bel cretino a farlo stando in piedi di fronte alla porta. A mia discolpa, posso dire che quella era la direzione ideale in cui si trovava la donna alla quale stavo dedicando questo mio atto di piacere. Ero stato molto più cretino a non chiudere a chiave. Chissà cosa sarebbe successo se, anziché mamma, fosse entrata la diretta interessata. Meglio non pensarci.
Dopo solo qualche ora dal chiarimento con la mamma, ero già molto più sollevato, persino euforico, perché avevo esorcizzato la masturbazione, l’avevo in qualche modo legittimata, era entrata a far parte della nostra vita e ci era entrata dalla porta… Be’ dalla porta del bagno, ma poco importa. Ero così felice di essermi sgravato da un senso di colpa che mi sentivo vispo come un grillo e volevo condividere assolutamente con mia madre questa gioia. Sentivo che dovevo ringraziarla perché mi aveva fatto un grande favore sorprendendomi a toccarmi e poi venendomi a parlare in quel modo. Mi ripromisi di farlo il giorno seguente, magari a colazione, quando eravamo soli lei ed io. Le avrei espresso tutta la mia gratitudine e le avrei detto che le volevo bene. Di certo le avrebbe fatto piacere sentirselo dire, perché non lo facevo mai abbastanza, stando a quanto se ne lamentava. Che poi anche questo era un sintomo del nostro nuovo rapporto. Sì, ero convinto che avrei fatto così. Ero così elettrizzato che non riuscivo a prendere sonno. Sarebbe stato meglio dirglielo subito, mi dissi. Sicuramente lei era ancora sveglia, erano solo le dieci di sera e per fortuna lui era fuori a giocare a poker con gli amici, come tutti i giovedì, perché in sua presenza non avrei mai detto nulla del genere, ovviamente. Le cose tra la mamma e me escludevano lui anche come semplice spettatore, non lo volevo mai coinvolgere in qualcosa che ritenevo speciale e che apparteneva solo a lei e me.
Mi fiondai nella sua camera da letto, senza neppure bussare. Ed ecco che feci di nuovo il danno. Ancora una volta la sorpresi a toccarsi. La mamma si coprì con il lenzuolo, ma non mi urlò dietro, anzi, fece un’espressione come se volesse dire che non dovevo neppure sorprendermi più di tanto, se entravo nelle stanze senza bussare. Ero senza parole, più che altro perché mi ero comportato da stupido ed avevo invaso la sua privacy. La colpa era solo mia. Passato il primo momento di smarrimento, mi fece segno di avvicinarmi.
– Siediti un attimo, – mi disse. – Lo sai anche tu che ancora una volta non hai fatto una bella cosa, quindi è inutile che te lo ribadisca. E per quanto riguarda quello che stavo facendo io… Be’, anche di questo ne abbiamo discusso a sufficienza, quindi non mi sento in dovere di giustificarmi. Credo che entrambi abbiamo diritto alla nostra intimità e sarebbe spiacevole essere condizionati ogni volta dall’idea che l’altro possa sorprenderci sul più bello, vero? A questo punto è opportuno che darci delle regole, per evitare spiacevoli equivoci. Anzitutto ricordiamoci sempre di bussare prima di entrare nelle camere da letto dell’altro e poi, se vogliamo stare tranquilli per conto nostro, chiudiamoci a chiave. Ti prometto che, da parte mia, se troverò la tua porta chiusa, non ti farò domande né ti disturberò oltre. Mi allontanerò facendo finta di niente. Lo stesso dovrebbe valere anche per te. Siamo d’accordo?
Annuii. Trovavo il patto molto equo.
mammafiglioparlanoLa situazione era alquanto surreale. Mamma ormai non era più nello spirito giusto per continuare quello che io avevo interrotto, tuttavia sarebbe stato più opportuno che io mi ritirassi, almeno per darle modo di ricomporsi un po’. Lei stava lì, col lenzuolo tirato fino al mento, illuminata dall’abat-jour e mi fissava coi suoi grandi occhi benevoli. Mi sentivo legittimato a restarle accanto per il semplice fatto che non mi aveva scacciato e mi aveva voluto parlare. Anche dominare il senso di vergogna che mi diceva di fuggire e di nascondermi al mondo era un’esperienza nuova.
– Possiamo parlare? – le domandai molto timidamente.
– Certo tesoro mio. Di cosa vuoi parlare?
– Ecco… di quello che stavi facendo.
– Be’ lo sai anche tu. Non credo che sia il caso di approfondire ulteriormente. È abbastanza chiaro per entrambi e abbiamo anche stabilito che è una cosa normale quanto privata.
– Sì, scusami, hai ragione.
– C’è qualcosa che ti turba, vero?
– Ma no, è solo che capisco che queste situazioni siano imbarazzanti per te quanto per me, allora semplicemente mi domandavo se per te fosse una cosa così frequente… In maniera tale da regolarmi.
– Piccolo mio, resto dell’idea che un figlio non dovrebbe chiedere certe cose alla propria madre, ma, date le circostanze lo posso anche capire. Come abbiamo appena stabilito, se entrambi prendiamo dei piccoli accorgimenti, riusciamo ad evitare situazioni incresciose. Non sto dicendo che ci sia qualcosa di male in questo, ma solo che se ognuno tiene per sé certi fatti, stiamo tutti più tranquilli. Comunque mi sembra di capire che questa storia ti turbi un po’.
– Più che altro, mi incuriosisce. Non voglio che tu pensi che io mi stia facendo dei problemi. Diciamo che sono semplicemente rimasto un po’ sorpreso. Non mi aspettavo che mia madre…
– Che tua madre fosse un essere umano come tutti gli altri? – mi prevenne lei. – Mi spiace deluderti, ma sono di carne ed ossa come tutti gli altri. Non sono immortale né eterna. Ho desideri ed esigenze come chiunque, come te direi. E questo vuol dire che anche a livello sessuale, che ti piaccia o no, mi sento una persona normale e credo di avere il diritto di provare certi desideri e di poter avere la mia parte di piacere.
– Non volevo dire questo, mamma.
– Lo so. Forse sono io ad essere un po’ brusca. D’altro canto questa storia degli ormoni a volte è una bella seccatura. Tu non preoccuparti troppo della tua vecchia madre.
– Va bene, mamma. Lo sai come sono fatto, ti voglio bene e mi viene spontaneo preoccuparmi per te. Ma come funzionano ‘sti ormoni? Voglio dire, sono una cosa che parte da sola, oppure ci sono delle cose che ti fanno effetto… Non so, magari immagini, pensieri… Forse c’era qualcosa di particolare a cui pensavi. No, perché io ho letto…
Mi interruppe un po’ bruscamente.
– Adesso stai un po’ oltrepassando il limite. Lo dico non perché sei mio figlio, ma perché ci sono cose molto personali che è meglio tenere per sé. Immagina se io ti chiedessi che cosa ti aveva eccitato oggi pomeriggio, al punto che sei andato in bagno a toccarti nonostante io fossi in casa e non fossi neppure sola…
Ci riflettei un po’ sopra. La mamma aveva ragione, però forse era solo un po’ imbarazzante per lei confidarsi.
– Se ti confesso cosa mi ha eccitato, poi tu me lo dici? – le proposi, forse un po’ ingenuamente, come se stessi parlando ad uno dei miei amici.
Rimase in silenzio per alcuni istanti, prima di rispondere. La sua era stata una domanda retorica, alla quale ora io proponevo una risposta vera e propria. L’idea dovette incuriosirla. La prese come una sorta di provocazione e voleva vedere se stavo bluffando.
– Non lo so. Non ti faccio nessuna promessa, ma tu, vediamo se hai il coraggio di dirmelo… e sii sincero, perché mi accorgo se bari.
Era vero, con lei facevo molta fatica a dire bugie. Mi conosceva così bene che mi scopriva subito, per cui mi ero abituato ad essere sempre piuttosto diretto e sincero. L’assurdità della situazione era sempre più palese. In tutta la nostra esistenza non ci eravamo mai trovati a fare un simile discorso.
– Ecco… mentre tu e la tua amica parlavate… lei… sai com’è, con quel suo modo di fare che non sta mai ferma. Insomma, continuava a muovere le gambe e ad aprirle e io le ero proprio di fronte… così… Bene, adesso tocca a te.
Lei mi fissava sorridente. Forse stava cercando un modo pulito per dirmi che pensava a qualcosa di molto sconcio.
– No, non te lo dico. Non voglio.
– Ma mamma, – esclamai io – erano i patti!
– Veramente ti ho detto che non promettevo nulla. Vedi, figlio mio, ci sono cose che davvero è meglio che una mamma non dica ad un figlio. Di per sé, magari, sono molto banali, anzi, potrei dire che sono naturali, perché non sono razionali, ma guidate dall’istinto. Quando però vengono messe sotto la luce del sole, assumono dei toni che potrebbero essere fraintesi e distorti. Quindi, mi spiace per te, ma questa volta dovrai rassegnarti a non sapere nulla.
Protestai inutilmente. Sapevo che per il momento sarebbe stata irremovibile. Ci avrei comunque riprovato in altre occasioni. Ormai mi aveva troppo incuriosito per rinunciare. Per ora dovevo desistere, anche perché sentii rientrare il suo compagno e non avevo alcuna intenzione di condividere quel momento così speciale tra la mamma e me con un «estraneo».

Madre e figlio lo trovi qui

Vedi anche le altre opere di Andrea Scad

 

Una madre che fa male – Cap. 7

Male[

ESTRATTO DAL CAP. 7]

– Non capisco di cosa stai parlando, mamma.
– Orgasmo. Sto parlando dell’orgasmo femminile, tesoro. Non siete solo voi maschietti ad averlo, dovresti saperlo. In voi è una cosa più manifesta ed è collegata all’eiaculazione. In noi donne funziona in maniera diversa, ma questo non significa che non ci piaccia o che non sia un nostro diritto averlo, come lo avete voi. Le dinamiche sono molto diverse e, per questo, se un uomo vuole far avere un orgasmo ad una donna, non può limitarsi a muoversi come un animale, ma deve dedicarle attenzione.
– Quindi oggi papà non ti ha fatto avere l’orgasmo?
– Oggi no. Non è sempre così. A volte invece succede. E se non succede, lo faccio succedere io.
– Cioè?
– Cioè… è molto semplice. Come tu ti masturbi, anche le donne lo fanno.
– Accidenti, mamma, mi stai dicendo che anche tu ti tocchi? Io credevo che fossero cose che fanno i ragazzi che non hanno ancora fatto sesso, ma che poi non si fanno più.
– Ed invece non è così. Certo, se hai un partner, ci sono molte altre cose che si possono fare insieme, ed anche più piacevoli. Resta sempre il fatto che non c’è nulla di male a masturbarsi, da soli o col proprio compagno. E quindi, sì, anche a me, qualche volta, capita di farlo. Non è che adesso che lo sai, ti metterai a spiarmi, vero?
– Come tu hai fatto con me, mamma? Non di certo, non mi permetterei mai. Sai che ti rispetto.
– Bé, comunque sia, visto che siamo in vena di confidenze, sappi che, se un giorno tu dovessi sorprendermi a farlo, non ti sgriderei. Voglio dire… è una cosa di cui non mi vergogno e quindi non deve essere vista come un tabù. Infatti siamo qui ne parliamo liberamente e alla pari.
– Perché mi dici questo, mamma?
– Perché ti voglio bene e mi piace pensare che tu viva con naturalezza certe cose. Tra di noi non ci debbono essere misteri. Io ho visto te e sarebbe sbagliato ed ipocrita se dicessi che tu non devi vedere me. Cioè… se mai dovesse accadere.
– Sì, ma io non so se voglio vederti. – disse Mauro, un po’ in colpa perché sapeva di contrariare la madre.
– È perché io sono tanto più vecchia delle tue compagne di classe o di quelle che guardi nei tuoi filmini?
– No, è perché tu sei mia madre e non sta bene che io sappia certe cose, – rispose lui.
– E chi ha stabilito queste regole? Se tra di noi c’è confidenza, non vedo perché tu non debba sentirti alla pari con me. Ci deve essere equilibrio nelle cose. Non possiamo usare due pesi e due misure solo perché io sono tua madre. Non devo mettermi al di sopra di te. Se siamo così in confidenza per parlare di certe cose, è stupido poi invocare una morale dettata da non si sa chi e che ha poco a che fare con quello che siamo noi. Parliamoci chiaro, tu ed io ci siamo visti nudi mille e mille volte. Negli ultimi tempi sono anche successe altre cose. So che ti masturbi, so che lo sai, ho visto come lo fai e anche di più, e per me va bene che le cose stiano così. Oggi mi hai visto fare sesso con tuo padre e ti ho detto che mi masturbo. Questo ti crea dei problemi?
– No, – rispose Mauro, dopo un attimo di esitazione.
– Bene. Io credo che tu ormai sia grande. Non hai l’età di tua sorella. Sei un adulto ed io voglio trattarti come tale. Sei mio figlio, ti voglio bene, ti amo più della mia stessa vita e quindi non voglio nasconderti nulla. Oggi ci siamo detti delle cose molto importanti e a me ha fatto molto bene confidarmi. Ora anche tu sai che tuo padre non mi soddisfa come vorrei. Ho bisogno del mio piacere, come tutti gli altri. Se non lo posso avere da mio marito, me lo procuro da sola. Mi sembra ragionevole.
– Certo mamma. Io avevo capito che tu dicessi che volevi che io ti spiassi.
– Ma, tesoro mio, sarebbe ridicolo che tu mi spiassi. Se tu provassi curiosità per quello che faccio e come lo faccio, non avresti altro da fare che dirmelo. Non ti vorrei mai sorprendere dietro una porta. È questo che voglio da te: che siamo aperti e sinceri, anziché farci le cose di nascosto.
– Si, ma io non credo di essere curioso, in questo momento. Non so… Sono un po’ confuso.
– Va bene, non c’è problema. Era solo per parlare, per farti sapere che, se hai delle curiosità, dei dubbi, vuoi sapere qualsiasi cosa, io sono qui e non mi tirerò indietro di fronte a nulla.
– Grazie mamma, – fu la timida risposta di Mauro, il quale rimase in silenzio per alcuni istanti, come per cercare le parole adatte per andare avanti. – A te, però, non darebbe fastidio se io stessi a guardarti, come tu hai fatto con me? Perché per me è stato un po’ imbarazzante che tu fossi lì con me.
– Non intendevo proprio questo, ma… no, non sarebbe affatto imbarazzante. Sarebbe un piacere. Il mio piccolo amore che mi guarda in un momento che è solo mio. Sarebbe davvero molto bello per me, perché so quanto tu mi vuoi bene e so che, se sai che una cosa mi fa piacere, ne sei felice. Mi spiace che tu ti sia sentito imbarazzato, l’altro giorno. Però, dopo, hai visto che sei riuscito a superare quel momento, con il mio aiuto. Non è stata una bella sega?
– Sì, mamma, lo è stata. Ed è vero che se so che sei felice, lo sono anch’io.
– Allora facciamo una cosa, tanto per non creare situazioni di imbarazzo. Ci promettiamo reciprocamente che, la prossima volta che avremo voglia di toccarci, lo diremo, così l’altro lo saprà e si comporterà di conseguenza. Mettiamola così: se tu vuoi la tua privacy ed io so cosa stai facendo, non verrò certo a disturbarti. E se tu sai cosa sto facendo io in un determinato momento, potrai tenerti alla larga, a meno che tu non sia curioso di saperne di più, allora vieni da me e mi chiedi tutto quello che vuoi. Ti va? Mi prometti che me lo dirai?
Mauro accettò e promise, sebbene dentro di sé fosse un po’ riluttante. Non voleva mortificare l’entusiasmo della madre.

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Di giorno madre, di notte… – Capitolo 6

Di notte
 
Quella prima notte in cui il figlio era tornato a casa, la madre fece fatica a prendere sonno. Era tormentata dai ricordi e preoccupata. Più che altro, era curiosa di sapere se il figlio avesse superato anche i tormenti notturni di cui era stata testimone. Dalla chiacchierata pomeridiana non aveva ricavato elementi sufficienti per capire se lui avesse avuto qualche tipo di esperienza sessuale e, tanto meno, se almeno avesse cominciato quelle pratiche solitarie tipiche della sessualità adolescenziale. Avrebbe cercato altri modi per venire a capo della faccenda. Intanto, però, temeva che il figlio potesse ancora patire. Da ciò che aveva visto del figlio, nella stanza da bagno, era più che certa che ormai fosse pronto per una vita sessuale piena e gratificante. Poteva solo augurarsi che il ragazzo avesse già fatto le prime esperienze. Solo a notte fonda il sonno ebbe il sopravvento.
Il poco sonno di cui aveva fruito influenzò anche la mattinata seguente di Selvaggia. Si trascinò per la casa, mentre il figlio sembrava in preda ad una frenesia che non lo faceva stare fermo un istante. Lui le propose di fare alcune attività insieme, ma lei declinò l’invito, preferendo restare un po’ da sola a leggere nel gazebo.
Anselmo passò veloce col suo cavallo, la salutò e sparì dietro ad un gruppo di ippocastani. A Selvaggia venne voglia di rivedere l’amica. Provò a raggiungerla a casa, ma il maggiordomo le disse che la signora era uscita e non sapeva quando sarebbe tornata. Si diresse all’atelier.
Francesca Romana era lì e stava lavorando. La fece accomodare sul divano, intanto che finiva la seduta. Un giovane, atletico e rigorosamente nudo, stava posando in una posa da novello Adamo, lo si capiva solo dalla mela che reggeva con una mano, poiché non vi era neppure la classica quanto pudica foglia di fico.
«Cosa te ne pare? È bello, vero?», chiese Francesca, mentre il modello si rivestiva.
«Sì, sei davvero brava»
«Macché, io mi riferivo a lui. Non trovi che abbia un corpo perfetto? E poi hai visto che dotazione».
Selvaggia era imbarazzata. Non era il genere di conversazione che amava fare, specie considerato che l’oggetto di quegli apprezzamenti era lì e si compiaceva delle parole della donna.
Appena furono sole, Francesca Romana prese a baciare Selvaggia, la quale però si ritrasse.
«Non sarai mica gelosa?», le chiese la Fiorentini, tra il preoccupato ed il divertito.
«No, figurati. Ho ben altro per la testa»
«Allora mettiti comoda. Ti preparo qualcosa di fresco da bere e poi mi racconti tutto».
Ci vollero un paio di bicchieri, prima che Selvaggia cominciasse a sciogliersi e a parlare di quello che più l’angosciava. Raccontò ogni cosa, senza trascurare le proprie paure, i dubbi, i sensi di colpa.
«È una situazione difficile da giudicare e neppure voglio farlo», disse Francesca. «Quello che hai fatto, lo hai fatto perché sentivi che era giusto. Le reazioni di una madre di fronte alle sofferenze di un figlio sono imprevedibili, quanto estreme, se necessario. Probabilmente avrei fatto altrettanto. Sono anche convinta che si sia trattato di una situazione momentanea. Mi riferisco al suo gesto di tenere la tua mano sul proprio sesso, mentre lo asciugavi. Una reazione istintiva, un senso di piacere quasi inconsapevole. Visto che ora sembra più socievole e aperto, è probabile che se tu insisterai a parlare con lui, scoprirai se ha già avuto delle esperienze. Ricordo che mia figlia è stata più restia del maschio, ma entrambi sono venuti da me a confidarsi e chiedermi consiglio. Alla fine, i ragazzi sono tutti uguali e, sotto sotto, gli fa piacere sapere di avere una madre pronta ad ascoltarli».
Selvaggia assentì. Anselmo era quel tipo di ragazzo? Le era parso sempre abbastanza schivo, anche se, doveva ammettere, sembrava essere cambiato.
«Comunque sia», riprese l’amica. «Se sei ancora preoccupata al punto di non riuscire a dormire neppure questa notte, non ti fare scrupoli e vai a controllare»
«E se lo dovessi trovare ancora in quella condizione?»
«Be’, in quel caso, se è ben messo come il modello che stavo dipingendo prima, chiamami che ci penso io. Ahahah. Scherzi a parte, ci sono due sole strade: o lo svegli e affronti insieme a lui la situazione, oppure ti comporti come l’altra volta e allevi i suoi patimenti, se così si possono chiamare».
Selvaggia avrebbe preferito un suggerimento più risolutivo, ma questo era l’unico e non se la sentiva di rivolgersi a nessun altro. Tornò quindi a casa e attese che la notte calasse. Con le tenebre, la vecchia dimora sembrava ancora più grande. Dal ballatoio del primo piano si vedeva l’intero atrio che svaniva nel buio. Ogni tanto, uno scricchiolio proveniva dal piano superiore, segno che qualcuno dei domestici che dimoravano lì era ancora sveglio. Forse la vecchia tata, quella che aveva accudito Augusto sin dalla nascita e che ormai era parte integrante di quelle mura, quasi fosse stata costruita insieme ad esse. Era molto anziana e assai poco efficiente, ma quella casa era tutta la sua vita. Nessuno si sarebbe mai sognato di allontanarla. Adesso aveva alcuni problemi di salute e soffriva di insonnia. Selvaggia provò pena per quella donna che aveva speso un’intera esistenza per una famiglia non sua, rinunciando a farsene una propria.
Il silenzio era tale che si sentirono le campane dell’orologio della chiesa del paese, che distava un paio di chilometri, battere tre rintocchi. Lentamente, Selvaggia girò la maniglia della stanza in cui Anselmo dormiva. Sentiva il respiro regolare del ragazzo e ne fu lieta. Si sedette sulla poltroncina e rimase a contemplarlo alla flebile luce che filtrava dalle imposte. Probabilmente fuori c’era la luna piena. Improvvisamente lui cominciò ad agitarsi nel sonno, poi a mugugnare parole incomprensibili ed infine a chiamare mamma, con un tono doloroso. D’impulso lei sollevò il lenzuolo. Il figlio dormiva completamente nudo, ma il membro, a differenza delle altre volte, era a riposo. Anselmo era ancora agitato e la madre pensò che dovessero esservi altre ragioni. Forse si trattava di un semplice incubo, non collegato a qualcosa di fisico. Come aveva già fatto, provò a toccare il sesso con la punta di un dito. Questa volta non si mosse, ma il giovane gemette ugualmente. Riprovò una seconda volta, ottenendo il medesimo risultato. Alla terza vi fu un piccolo sussulto delle carni. Significava che stava provando dolore? Era impossibile dirlo. Poi la trasformazione avvenne sotto i suoi occhi. Il membro cominciò ad inturgidirsi, raggiungendo presto l’erezione completa. Le tornarono in mente le parole dell’amica. Doveva decidere se svegliarlo o no. Intanto la sua mano era già intorno a quel pezzo di carne, incerta se muoversi o meno. Si disse che poteva farlo anche questa volta. Il ragazzo gemeva di piacere e lei cercava di capire quando tutto sarebbe finito. Si stava protraendo più del solito ed era terrorizzata all’idea che lui si potesse svegliare e sorprenderla in quella situazione tanto difficile da giustificare. I gemiti si fecero più intensi e, finalmente, il ragazzo raggiunse l’appagamento. Prima che lei potesse ritirare la propria mano, quella di Anselmo fu sulla sua e la premette con forza contro di sé, come aveva fatto quella volta, dopo il bagno.
Selvaggia si divincolò e corse nella propria stanza, col cuore che le batteva a mille.Non aveva chiuso occhio tutta la notte, domandandosi cosa in realtà fosse accaduto. Attese con impazienza il momento della colazione, quando avrebbe rivisto il figlio. Anselmo arrivò puntuale, come suo solito, salutò il padre, baciò sulla fronte la madre e si accomodò al proprio posto, dove gli venne servito il caffellatte coi biscotti e le fette di pane imburrato e marmellata.
Selvaggia lo scrutò attentamente. Le sarebbe bastato cogliere anche una sola occhiata strana del figlio per convincersi che lui era cosciente. Invece Anselmo si comportava come se nulla fosse. Era sveglio e riposato. Nessuna traccia di turbamento, di disagio, tanto meno di compiacimento, di malizia.
«Che programmi hai per la giornata?»
«Nessuno, padre»
«Allora perché non vieni con me, devo fare un sopralluogo per un terreno che voglio acquistare, dove impianterò una nuova fabbrica. Magari potrebbe interessarti»
«Come vuoi tu».
«Ma non devi studiare un po’ il pianoforte?», domandò Selvaggia.
«Non preoccuparti, mamma. Lo farò quando torno e ti dedicherò un notturno di Chopin che ho appena imparato».
Padre e figlio uscirono. Selvaggia salì al piano di sopra dove si imbatté in Franca che stava uscendo dalla stanza del giovane con in braccio le lenzuola.
«Rifaccio il letto, signora. Il ragazzo sta crescendo».
L’allusione era alla polluzione notturna. Questo le fece pensare che il figlio non potesse non essersi accorto almeno di questo. Probabilmente si sarebbe vergognato a parlarne con lei, ma non poteva negare l’evidenza. Restava da scoprire se quel gesto era stato automatico, fatto nel sonno, o nascondeva qualcosa di diverso.
«Sai, cara, cosa penso?», le disse Francesca, che era arrivata nel primo pomeriggio, dopo che Selvaggia le aveva detto che aveva urgenza di parlarle. «A mio avviso la stai prendendo nel modo sbagliato. È assodato che fisicamente tuo figlio non abbia nulla che non vada. Ricordati che è in piena adolescenza. È come una molla caricata al massimo. Basta un niente. Se tu lo hai toccato, lui ha reagito. Tutto qui»
«Va bene», acconsentì Selvaggia. «Il problema è un altro. Voglio sapere se quando lui ha afferrato la mia mano era consapevole di ciò che stava facendo, oppure era ancora addormentato»
«Fa ben poca differenza. Mettiti al posto suo. Stai avendo un sogno erotico, magari un po’ agitato, ma pur sempre eccitante. Improvvisamente il tuo corpo reagisce ad uno stimolo esterno. Ti svegli e ti accorgi che tua madre ti sta facendo una sega. O ti metti ad urlare come un ossesso, oppure fai finta di niente e ti abbandoni al piacere»
«Non capisci? Io devo sapere. Può anche darsi che lui fosse già sveglio da prima, oppure che si sia svegliato durante. Come lo spieghi che quando è venuto ha voluto che trattenessi la mia mano su di lui?»
«Ma cara, molto probabilmente tu ti sei fermata troppo presto e lui era ancora mosso dai sussulti interiori che solo il prolungamento della pressione potevano portare a compimento. Che vuoi che sia? È andata così. Non ne devi fare un dramma. Casomai astieniti dall’andare in camera sua di notte»
«Forse hai ragione tu. Dovrei lasciare le cose come stanno. Tu, al posto mio, sapresti ignorare un potenziale problema di uno dei tuoi figli?»
«Difficile dire cosa sia la soluzione migliore. Anche perché non sei neppure sicura che ci sia un reale problema. Comunque sia, se proprio vuoi andare avanti in questa storia, posso stare io in camera con lui. Di sicuro non mi faccio problemi a toccarlo e dargli quell’appagamento che il suo corpo sembra tanto reclamare. In fin dei conti non è mio figlio»
«Non dirlo neppure per scherzo. È solo un ragazzo!»
«Va bene, non ti scaldare. Era tanto per dire. Prima o poi qualcuna arriverà e se lo porterà via. Questa è una realtà a cui devi prepararti»
«Lo so bene, ma preferisco aspettare ed evitare che intanto tu ne approfitti»
«Suvvia, adesso non fare la permalosa. Vieni qui baciami».

Disponibile nello store di Streetlib

Iniziazione – cap. 1

Approccio col corpo femminile: il seno

Che lei fosse una buona amica di sua madre, lui lo valutava in due opposti modi. Da un lato c’era il timore che le due donne potessero parlarne e prendersi gioco di lui, attribuendo i suoi comportamenti a quella immaturità che accompagna un po’ tutti gli adolescenti che si approcciano alla sfera dei sensi e che li porta a compiere gesti un po’ goffi e ridicoli agli occhi di chi è adulto. Dall’altro invece c’erano tutti i vantaggi derivanti sia dall’assidua frequentazione della casa da parte di lei, sia dalla confidenza che comunque si era instaurata tra di loro. In realtà lei era molto più giovane di sua madre e quindi si collocava a metà strada tra lei e lui. Era una donna e, al tempo stesso, una ragazza. Si comportava da donna nelle conversazioni tra adulti e sapeva giocare e scherzare con lui, le veniva facile comprendere il pensiero di un adolescente perché non era qualcosa di troppo distante e diverso da lei. Decisamente lui poteva definirla una sua amica. Un’amica da cui si aspettava però qualcosa di particolare, perché negli ultimi tempi lei era diventata il centro dei suoi pensieri e dei nuovi desideri sessuali che andava scoprendo giorno dopo giorno.

La sessualità per Livio era ancora qualcosa di astratto. Era abbastanza al corrente dei fatti della vita, in linea teorica almeno. Quello che sapeva gli era derivato dalle nozioni ricevute a scuola, dai discorsi del padre, dalla televisione e da internet, nonché dalle conversazioni con gli amici, che si dichiaravano assai più esperti di lui. Aveva una cultura esclusivamente teorica, perché lui non aveva ancora avuto alcun tipo di esperienza erotica con l’altro sesso… nemmeno un bacio di quelli veri. Rispetto ad alcuni compagni di classe si sentiva assai più indietro. Non fisicamente, anzi, si rendeva conto di essersi sviluppato già da tempo. Il suo disagio era puramente psicologico perché non riusciva a trovare le giuste modalità per approcciare le sue coetanee ed ottenere qualcosa da loro. Così erano le fantasie erotiche e la masturbazione le uniche valvole di sfogo. Improvvisamente, un giorno, si era accorto che Camilla, la giovane amica di sua madre, era anche una donna, per di più piacente e forse non del tutto inarrivabile.

Era successo che, un pomeriggio, rientrato a casa con un paio di amici, aveva trovato la madre e l’amica in salotto a conversare davanti ad una tazza di te. Appena giunto nella propria stanza era stato assalito dalle domande degli altri due che gli chiedevano chi fosse quella bella donna. Volevano sapere se lui se l’era già fatta e altre volgarità del genere, tipiche del comportamento del giovane maschio adolescente che si trova nel branco. Lui si era schermito dicendo che era una vecchia amica di famiglia, ma gli altri gli avevano fatto notare che non era per niente vecchia e che, anzi, era davvero una che non avrebbero esitato a farsi, se solo fosse stata un’amica delle loro madri. Da quel giorno aveva cominciato a vedere Camilla con occhi diversi. Presto ne aveva fatto un’oggetto del desiderio e vi aveva dedicato lunghi momenti di piacere solitario.
Così però non poteva andare avanti. Era necessario trovare un modo per far capire a lei che lui provava un interessa particolare. Non c’erano molte possibilità che la donna assecondasse i suoi desideri, ma, d’altro canto, nemmeno con le sue coetanee aveva delle occasioni, visto che lui era il primo a non far nulla per crearle. Si aspettava che Camilla, in quanto intima della famiglia, fosse più comprensiva con lui nel caso decidesse di rifiutarlo e non lo svergognasse davanti agli altri. Alla peggio avrebbe rischiato una figuraccia agli occhi della madre, con conseguente predicozzo, ma lui sperava che Camilla, dopo averlo rifiutato, ci avrebbe messo una pietra sopra. A questo punto non resta altro che trovare il momento migliore e farsi avanti con astuta intelligenza, si disse un giorno. Fu così che Livio fece in modo di essere sempre in casa, tutte le volte che sapeva che Camilla sarebbe passata a trovare la madre.
La osservava con attenzione, sia per individuare eventuali punti deboli, sia per far sì che l’insistenza del suo sguardo sul corpo della donna suscitasse in lei qualche riflessione e magari le facesse capire che c’era qualcosa di più, di nuovo e di diverso nell’aria. Anche il caso però fu dalla sua parte, infatti, un sabato pomeriggio ricevette una telefonata da parte di sua madre che gli comunicava che aveva un appuntamento con Camilla per il consueto tè, ma era in ritardo perché bloccata nel traffico, quindi, molto probabilmente Camilla sarebbe arrivata prima di lei. Lo pregava di non uscire di casa per non lasciare l’amica ad attendere fuori dalla porta, dopo avrebbe potuto andarsene tranquillamente, senza neppure bisogno di aspettare il suo rientro.

Livio comprese subito che questa era una delle poche occasioni in cui avrebbe avuto alcuni minuti da passare da solo in compagnia di Camilla e quindi non poteva perdere l’occasione. Andò a farsi la doccia e poi rimase con solo un asciugamano in vita ad attendere che la donna bussasse alla porta.
“Ciao, scusa l’abbigliamento, ma ero sotto la doccia. La mamma arriva tra poco, ma tu accomodati”. La fece entrare e la seguì in salotto, dove scambiò quattro chiacchiere formali, tanto per avere un pretesto per starle intorno. Non gli venne in mente nulla di più originale che fare in modo che l’asciugamano scivolasse via, così tirò un po’ indentro la pancia sentendo la stoffa cedere lentamente. Fu questione di pochi istanti tra il momento in cui si trovò nudo davanti a lei e quando si ricoprì, ma sufficiente perché gli occhi di lei si posassero sul suo membro.
“Omioddio, che vergogna. Scusami tanto, scusami davvero. Mi sento in imbarazzo… Ora che hai visto il mio pisellino non avrò più il coraggio di guardarti in faccia”. Intanto si aggiustava la salvietta sui fianchi, sempre restando comunque nella stanza con lei. Camilla, un po’ rossa in viso, volle comunque rassicurare il ragazzo. “Non è successo nulla. Non c’è niente di cui vergognarsi. E poi siamo amici… un po’ come fratello e sorella”.
“Ma io non farei vedere il mio cosino neppure ad una sorella”, proseguì lui, esagerando il senso di imbarazzo affinché la donna continuasse a portare avanti l’argomento.
“Già, ma ti faccio una confidenza: non sei il primo uomo che vedo nudo”, e gli strizzò l’occhio con fare complice.
“Eh, facile per te, ma tu sei la prima donna che vede il mio pistolino”. Rise nel pronunciare quella parola tanto puerile.
“Dai non fare il bambino… che poi tanto ino ino non lo è”
“Ma che dici?!”
“Non credo sia il caso di entrare nei dettagli, ma ti dico per esperienza personale che non è niente male come dimensioni”
“Non saprei”, fece eco Livio. “Io credo che sia un po’ piccolino per la mia età, i miei compagni di classe si vantano di avere dei cosi molto grandi…”. Sentì il classico rumore delle chiavi nella serratura. Era la madre che stava rientrando. Il tempo concesso era terminato.
“Vado a vestirmi, tanto ora non hai più bisogno di qualcuno che ti faccia compagnia”
“Certo, vai pure… Però, se ti può far piacere, possiamo riprendere in un altro momento il discorso. Non vorrei che ti facessi dei complessi senza motivo”
“Non so se è il caso. Un po’ mi vergogno. Forse… Non so. Vedremo”
“Ok, pensaci su e poi fammi sapere”. Aveva abboccatto completamente. Livio era stato scaltro. Ora si chiedeva se per caso anche lei non avesse un po’ giocato sulla situazione ambigua. Poco importava. Ciò che contava era che lui fosse legittimato a cercarla ed a riprendere l’argomento interrotto.

Passarono alcuni giorni prima di una telefonata lungamente meditata e preparata. Era quasi sera quando Livio chiamò Camilla. “Ciao, ti disturbo? Forse non avrei dovuto chiamarti… E’ che volevo parlare con te. Sai i discorsi dell’altro giorno? Ecco… Vedi, sono un po’ confuso e pensavo che forse potevamo parlarne un po’ da amici, se ti va”. Le parole erano state accuratamente soppesate per ottenere il tipo di reazione che infatti Camilla ebbe, poiché si disse certamente disponibile a riparlarne alla prima occasione. Sarebbe stata impegnata per i prossimi giorni, ma, appena libera, lo avrebbe richiamato e si sarebbero rivisti. In realtà era implicito che si dovesse fare in modo di essere da soli per poter parlare senza ingerenze e senza imbarazzi.
Camilla riflettè anche su cosa avrebbe dovuto dire al ragazzo. Non poteva sapere cosa lui le avrebbe chiesto, ma era palese che il ragazzo provasse qualche forma di disagio verso la propria sessualità ancora non espressa completamente. Da quello che aveva potuto vedere, Livio aveva già pienamente sviluppato ed il suo apparato sembrava sviluppato anche bene, quindi sul piano fisico non avrebbero dovuto esserci problemi. Forse andava solo un po’ sostenuto, affinché trovasse il proprio cammino.

Qualche tempo prima, Carla, la madre di Livio, aveva avuto una lunga conversazione con Camilla proprio circa il ragazzo. La madre era preoccupata – come lo sono sempre le madri – perché il figlio non aveva ancora la ragazzetta, perché stava troppo davanti alla televisione, perché usciva solo con amici maschi e non palesava in casa alcun interesse per l’altro sesso. Aveva fatto anche delle incursioni nella cameretta, quando lui non c’era, alla ricerca di riviste porno o altro, ma senza successo. Camilla ovviamente aveva suggerito che forse l’era di internet offriva altro che la carta stampata. La madre aveva comunque confermato le attività onanistiche del giovane, poiché aveva rinvenuto biancheria intima con evidenti tracce ed una volta aveva sentito dei rumori sospetti provenire dal bagno, dove lui era chiuso da un po’ di tempo.
“Pensa”, disse Carla. “Stavo quasi per entrare, preoccupata che lui stesse male, poi però ho realizzato che cosa stava facendo. Sarebbe stato terribilmente imbarazzante per entrambi. Che vergogna”. La donna sembrava scandalizzata. Camilla non si sbilanciò, ma provò a spiegare che era tutto piuttosto normale. Per lei Livio era sempre stato un caro ragazzo, il figlio di Carla e basta, ma le parole della madre e poi la visione, anche se per pochi istanti, del corpo nudo del giovane, l’avevano fatta riflettere sul fatto che ormai lui stava per diventare un uomo. Era ben lieta che lui volesse parlare con lei di temi delicati. Forse avrebbe potuto aiutarlo a crescere nel modo giusto, senza complessi e magari addirittura senza tutto il maschilismo che invece ammantava il padre, che, per inciso, Carla non apprezzava per nulla.

Livio fu puntuale. Arrivò a casa di Camilla, che lo fece accomodare in soggiorno e gli offrì una cocacola, mentre lei si accese una sigaretta. “Ne vuoi una anche tu?”, gli chiese, porgendogli il pacchetto. “Prometto che non lo dirò a tua madre. Di me ti puoi fidare. Siamo amici, tu ed io”. Il ragazzo rifiutò, dicendo che non fumava, ma apprezzava il fatto che lei avesse precisato che la madre sarebbe rimasta all’oscuro della conversazione. Camilla si accomodò sul divano, mentre Livio rimase sulla sedia, vicino alla sua bevanda. Bisognava rompere il ghiaccio, per cui lei decise di prenderla alla larga e di chiedergli della scuola. Poi passò agli amici e poi introdusse il discorso circa le ragazze. A Livio piacevano, ovviamente, ma si sentiva a disagio nel farsi avanti. Le trovava spesso troppo civettuole e superficiali e poi lui stesso non si sentiva troppo sicuro circa la propria immagine. Gli altri ragazzi erano più smaliziati ed esperti, mentre lui era alquanto impacciato.
“Guarda che molto spesso quelli che si vantano di aver fatto grandi cose, in realtà bluffano. Non credere a tutto quello che senti. Loro forse si atteggiano più di quanto non dovrebbero, ma questo non ti deve fare sentire inferiore. E poi sei un bel ragazzo. Magari non te ne accorgi, ma di sicuro c’è qualche tua compagna di scuola che ti viene dietro”. Livio arrossì leggermente.
“Forse dovrei fare un po’ di palestra. Non seguo le mode, mi vesto sempre con le stesse cose, non sono un figo. Non credo che nessuna mi venga dietro. Forse qualche cozza”. Rise tanto per sdrammatizzare. “E poi non saprei neppure bene cosa farci…”, lasciò la frase un po’ in sospeso, tanto per vedere cosa avrebbe detto lei.

“Senti, Livio”, riprese Camilla, dopo qualche attimo di silenzio. “Vorrei che questa nostra conversazione ti potesse aiutare e per questo vorrei che noi ci aprissimo con la massima libertà, senza alcun timore o vergogna. Puoi parlare serenamente di tutto quello che vuoi, dicendo le cose come ti vengono…”. Livio la interruppe.
“Il fatto è che io ti considero mia amica, ma tu sei amica di mia madre, prima che di me. Se devo essere sincero, non mi fa piacere pensare che magari alcune cose poi arrivano a lei…”
“Non lo devi pensare. Ti prometto che non le dico nulla”
“Allora facciamo un patto tu ed io: tutto quello che accadrà questo pomeriggio, rimarrà per sempre un segreto tra te e me”
“Te lo giuro. E tu mi giuri che con me sarai sincero e aperto e vedrai in me una persona che è qui per aiutarti”.
Forti di queste promesse, cominciarono a parlare con più scioltezza. Lei gli spiegò alcune cose circa la differenza di comportamento tra maschi e femmine durante lo sviluppo e anche di come non per tutti avvenisse nello stesso modo e nello stesso momento; questo determinava notevoli differenze, sia fisiche che psicologiche. Parlò a lungo, mentre lui la ascoltava attento.

“Io non so se mi sono sviluppato o no…”, esordì ad un certo punto Livio.
“Credo proprio di sì”, ribattè lei. Non voleva dirgli che era al corrente del fatto che si masturbava, perché allora avrebbe dovuto ammettere che aveva parlato con sua madre.
“Ma come fai a dirlo?”
“Ci sono svariati segnali. Forse ti sarai accorto, tempo fa, di aver cambiato un po’ il timbro vocale, poi ci sono i peli, ma anche il modo con cui ti interessi alle ragazze. C’è anche la questione della masturbazione. Quello è un segnale abbastanza evidente. E poi… be’, poi c’è il fatto che l’altro giorno ti ho visto quando ti è scivolato l’asciugamano e direi che è tutto ok”. Fu lei questa volta ad arrossire per un istante, mentre lui ebbe una lieve scossa di adrenalina.
“Non ne sono sicuro. I miei amici dicono di avere dei cazz… scusa, dei piselli, molto grossi ed io credo che il mio non lo sia affatto”. C’era un po’ di malizia nelle sue parole.
“Guarda che puoi pure dire la parola cazzo in mia presenza, se pensi che sia appropriata. Non mi scandalizzo mica”, disse Camilla. “Comunque il tuo cazzo – enfatizzò il termine – è pienamente nella norma, per quello che ho visto”, aggiunse tanto per rassicurarlo.
“Be’, quando è duro è più grosso di così”. C’era una punta di orgoglio nel tono di Livio, mentre Camilla immaginò che allora il ragazzo era davvero ben dotato. Il pensiero le fece piacere ma la turbò anche. Non era carino che pensasse a lui in quei termini.

Lei volle cambiare argomento. “Dimmi una cosa: che tipo di esperienza hai con l’altro sesso?”. Livio fece un’espressione un po’ sconsolata.
“Nessuna. Niente di niente”.
“Niente? Neppure qualche contatto, oppure qualcosa di… visuale, magari un bacio?”. Le sembrava davvero strano che un ragazzo della sua età non avesse fatto proprio nulla.
“Dico davvero. Niente. Tutto quello che so è teoria. Al massimo ho visto delle donne in topless al mare. Tutto il resto è televisione o internet”. Camilla rimase per alcuni istanti chiusa nei propri pensieri. “Cosa vorresti fare? Intendo dire se hai delle tue idee, dei desiderio particolari, insomma, come ti figuri la cosa…”. Lui le spiegò che in realtà voleva fare sesso come aveva sempre visto nei film porno, ma per il resto non sapeva bene come funzionassero le cose. Si rendeva conto che in quel genere di film le cose non dovessero essere proprio come nella realtà, per cui aveva solo un’idea vaga. Gli sarebbe comunque piaciuto anche andare per gradi, scoprire le cose un po’ alla volta. Un suo desiderio era quello di poter vedere con comodo un seno, mentre al mare si era sempre sentito a disagio a fissare le donne in topless.

“Anche tu ti metti in topless al mare?”, le chiese improvvisamente. La domanda la colse un po’ alla sprovvista.
“Sì, certo. Per me è naturale… e poi non è che ci sia molto da esporre, ho un seno piuttosto piccolo”
“Accidenti, penso che se fossimo al mare, allora forse potrei guardare il tuo senza sentirmi a disagio come se stessi facendo qualcosa di sbagliato”
“Vedi, Livio, non c’è nulla di sbagliato nel guardare i seni al sole. In fin dei conti, se le donne fanno così, è implicito che gli altri le guardino. C’è però il fatto che fissare troppo a lungo, può mettere un po’ a disagio. Penso che anch’io forse mi sentirei imbarazzata se mi fissassi a lungo, anche perché comunque noi ci conosciamo anche al di fuori di un contesto vacanziero”
“Sì, forse hai ragione tu. Magari poi ci sono anche altre persone intorno e non va bene. E poi comunque non può succedere, perché è impossibile che andiamo al mare insieme”
“Va be’, adesso non facciamone un problema e poi non è di me che stiamo parlando. Casomai, ti posso promettere che se un giorno saremo insieme al mare, mi metterò in topless e non mi farò problemi se ogni tanto butterai l’occhio, ok?”. Livio non sembrava molto convinto, ma Camilla non voleva andare avanti su questo crinale.
“Tanto sai bene che io non avrei il coraggio di guardarti, per questo lo dici. Mi conosci e sai che se ci sono altre persona divento timido ed io so che se fossimo tu ed io soli, tu non lo faresti mai”. Decisamente lui voleva restare sull’argomento.
“Non la devi mettere così”, disse lei. “Mettermi in topless non è una cosa che faccio per te o per qualcuno, è solo un modo per prendere il sole, per mettersi in libertà, è un po’ come quando stai in casa e magari non sei del tutto vestito perché ti senti meglio con te stesso. Non ti è mai capitato di restare nudo in giro per casa?”
“Impossibile. Con mia madre sempre in giro. Sai che è un po’ bigotta. Tu vivi da sola e puoi fare quello che vuoi. Io non ho privacy. Non posso neppure chiudere a chiava la porta della stanza. Vorrei vedere te andare nuda per casa con altre persone che vanno su e giù o che entrano nella tua stanza senza bussare… E comunque so che a te non farebbe piacere se ti vedessi in topless”. Ora forse stava forzando la mano, rischiando di apparire anche più immaturo di quanto non fosse.
“Ti sbagli. Non è affatto un problema se una persona mi vede in topless o meno. Nel contesto giusto, come ti ho detto, lo faccio senza problemi. Tu sei giovane e inesperto, per questo attribuisci alle cose una valenza che non hanno. Una volta che sarai più grande, ti renderai conto che non è così importante. Anzi, proverai quasi una sorta di indifferenza”
“Dici davvero che non ti darebbe fastidio se ti vedessi?”
“Certo che no”
“Allora lo fai?”
“Faccio cosa?”
“Ti metti in topless”. Camilla s’immobilizzò per un istante.
“Sciocco. Non siamo mica al mare. Però ti ho già detto che non mi farò problemi. Anzi, diciamo che faremo in modo di andare al mare insieme, una domenica. Sei contento?”
“Fico. Però, scusa, perché non farlo adesso? In fin dei conti è la stessa cosa. Anzi, qui non ci sono altre persone e quindi possiamo sentirci più a nostro agio”. Se l’era giocata tutta. Poco probabile che lei accetti, si disse, però almeno mettiamo le carte in tavola.

“Alt, fermi un attimo”, sbotto Camilla. “Ho capito dove vuoi andare a parare. Stai cercando di fare leva su questa cosa perché vuoi convincermi a farti vedere il mio seno. Ok, credo che a questo punto la cosa vada chiarita. Ho detto che dobbiamo essere sinceri e allora è giusto esserlo. Capisco bene la tua situazione. Non hai esperienza diretta in niente e le mie parole ti hanno fatto pensare che forse io avrei potuto darti quello che non sei riuscito ad avere da altre persone”. Camilla stava scoprendo il gioco del ragazzo. “Non credo che sia moralmente corretto che io ti assecondi in questa cosa. Io sono qui perché ho pensato di poterti aiutare offrendoti la mia esperienza, che sicuramente è meglio di quello che ti raccontano i tuoi amici sbruffoni, e la possibilità di parlare con me come non puoi fare con la tua famiglia. Tu però ora vorresti che io facessi qualcosa che va oltre. Sbaglio?”.
Livio si sentiva davvero in imbarazzo. Le sue strategie si erano rivelate puerili ed ora lei lo metteva di fronte a se stesso, pienamente smascherato. “Scusami, non volevo ferirti. E’ che ho pensato che forse davvero potevi essermi di aiuto non solo a parole. Ho creduto che tra noi potesse esserci una complicità più forte e che forse mi avresti potuto far sperimentare alcune cose perché io non mi sentissi troppo indietro nei confronti degli altri ragazzi. Ora però mi rendo conto che ho sbagliato e ti chiedo scusa”. Vi furono altri istanti di silenzio, nei quali lui provò solamente un forte senso di disagio ed il desiderio di fuggire via, mentre lei valutò la situazione, cercando anche di comprendere il punto di vista del giovane e capire come avrebbe potuto aiutarlo nella maniera più giusta e sana. Si accese un’altra sigaretta, che fumò un po’ nervosamente.
“Stammi bene a sentire, perché voglio che le cose siano davvero chiare tra noi. Non debbono esserci fraintendimenti né alcun tipo di complicazione. Il tutto deve essere nella massima trasparenza tra noi due e nell’assoluta riservatezza. Non deve sfuggirti neppure una parola con nessuno. Hai capito bene? Nessuno. Né tua madre o tuo padre né i tuoi amici. Mai. Per nessun motivo”. Livio annuì con la testa, sebbene non gli fosse chiaro cosa intedesse fare Camilla.
“Visto in una certa ottica, quello che sto per fare potrebbe essere considerato immorale ed illegale. Non è questo però che mi preoccupa, quanto quello che tu puoi pensare, come puoi interpretare le cose. Allora ti dico subito che è… Come posso dire? Ecco. Diciamo che è una cosa didattica. Lo faccio solo perché tu hai bisogno di imparare e vorrei che lo facessi nel modo più adatto a te”.
“Di cosa stai parlando? Non capisco”, fu la replica di Livio.
“Ho deciso di farti vedere il mio seno e di fare in modo che tu possa vivere questa esperienza con la massima tranquillità e naturalezza. Non voglio che tu abbia un giorno dei complessi o delle frustrazioni. Non lo faccio per nessun altro motivo, solo perché sento che tu hai bisogno che le cose siano fatte in una certa maniera”. Livio non sapeva cosa dire, per cui preferì tacere, anche per evitare che una frase sbagliata rovinasse la magia del momento e lo privasse del piacere di ciò che stava per accadere.

Camilla si alzò in piedi, si sfilò il maglioncino e rimase di fronte a lui con il solo reggiseno. Rivoltò le braccia sulla schiena e liberò i gancetti. Finalmente fece scivolare a terra il reggiseno, lasciando che Livio vedesse i seni piccoli ma assai ben conformati. Lui era incredulo, a bocca aperta, immobile. “Ora guardali finché vuoi”, gli disse lei. Il giovane si avvicinò, tenendo sempre lo sguardo puntato sulle due piccole collinette che erano lì esclusivamente per lui. Girò intorno, tanto per avere diverse prospettive. Passarono così alcuni minuti. “Posso… posso toccare?”, balbettò lui. Istintivamente la donna portò le braccia al petto, quasi in forma difensiva, poi lentamente le lasciò ridiscendere lungo il corpo. “Va bene”, acconsentì con tono comprensivo. La mano tremante di lui si catapultò su di un seno e lo afferrò con forza.
“Ahi, mi hai fatto male”, gridò lei, istintivamente.
“Scusa, scusa… non volevo. Davvero. Perdonami. Sono un imbranato”. Era stato maldestro, complice l’emozione e l’inesperienza.
“Non è niente, però devi imparare ad avere una mano più delicata. Non è un limone da spremere, per quanto piccolo possa essere. E’ una zona molto sensibile e delicata. Ora ti spiego come fare per non provocare dolore e dare anche piace, perché la cosa importante non è solo il piacere che tu ricavi dalle cose, ma anche quello che dai a chi sta dall’altra parte”. Così Camilla prese la mano del ragazzo e la guidò. Gli fece capire come si doveva maneggiare un seno, quali erano le zone più sensibili e come e quando poteva eccedere con la pressione. Gli fece vedere come inturgidire i capezzoli, come stimolarli, tirarli e strizzarli, sempre tenendo d’occhio le reazioni, il livello di sopportabilità del dolore. Livio si dimostrava sveglio e presto prese confidenza con quella parte del corpo, al punto che lei provò anche piacere in quel contatto, ma si astenne dal dirglielo. Ad un certo punto ritenne che lui aveva appreso abbastanza e lo fermò. Si rimise gli indumenti e tornò a sedersi sul divano, per fumare un’altra sigaretta.

“Grazie, è stata una cosa magnifica. Un’esperienza indimenticabile. Emozionante”
“Devo riconoscere che sei stato bravo ed hai imparato subito”
“Posso farti una confidenza?”
“Certo, sai bene che puoi dirmi tutto quello che vuoi”
“Ecco… Allora devi sapere che è stato così bello che mi sono eccitato”
“E’ più che naturale. Anche se lo scopo era quello di insegnarti come toccare un seno, era prevedibile che la cosa non ti avrebbe lasciato indifferente. Comunque non è un problema”. Lui la fissò. Era esitante ed incerto se proseguire.
“Volevo anche dirti che quando torno a casa mi farò una sega ripensando a questo momento”. Arrossì.
“Ok, la sincerità c’è, ma non è che proprio volessi saperlo. Credo sia una cosa solo tua. Non voglio che tu travisi le cose. Non dimenticare che eravamo d’accordo sul fatto che fosse solo una questione didattica”.
“Sì, hai ragione. Sappi che sei stata un’ottima maestra ed io non so come ringraziarti”
“Non mi devi ringraziare. Ma ora devi andare a casa, perché si è fatto tardi”. Si salutarono e Camilla rimase da sola in casa a ripensare alle sensazioni che aveva provato ed alle eventuali conseguenze di quel gesto che, tutto sommato, riteneva sconsiderato.

(… continua…)

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Per mio figlio è normale

Estratto dal racconto

«Mamma, non ce la faccio», disse lui, rompendo quel silenzio opprimente. «Aiutami», disse, con un filo di voce, tanto che lei si domandò se lo avesse detto realmente o fosse soltanto un parto della sua mente.

«Amore, come posso aiutarti?», disse, pentendosi immediatamente, appena si rese conto che l’aiuto in una faccenda di questo tipo non poteva essere certo qualcosa che una madre normale avrebbe offerto al proprio figlio.

C’era quasi un senso di disperazione nelle sua voce. Era consapevole di essere ad un punto di svolta. Se fossero andati oltre, non sarebbero più tornati indietro. Era abbastanza chiaro che Lucio volesse qualcosa da lei, qualcosa di particolare, di non lecito all’interno di un rapporto tra madre e figlio. Restava da vedere cosa lui volesse e quanto lei fosse disposta a concedere.

Franca sentiva il cuore battete forte, il sangue pulsare nelle orecchie. Per un attimo temette persino di perdere i sensi. Lucio parlò con voce tremante. Aveva espresso la sua richiesta non con la solita impassibilità con cui aveva sempre affrontato questo genere di discorsi. Le era quasi sembrato che lui fosse tornato indietro nel tempo, quando correva da lei a chiederle aiuto e protezione dopo una caduta che gli aveva procurato una sbucciatura ad un ginocchio. In quel flebile sussurro lei era riuscita a cogliere una certa disperata urgenza. Era una di quelle situazioni che solo una madre sa cogliere appieno e lei aveva compreso che la richiesta del figlio era ben più profonda di quanto lui non facesse vedere. Una richiesta che non poteva essere ignorata. Doveva aiutarlo. Su questo non c’erano dubbi. Piuttosto restava il problema di quale tipo di aiuto avrebbe dovuto farsi carico.

Inutile starci a pensare troppo. Decise di agire e vedere come si sarebbero evoluti gli eventi. Si alzò in piedi, si posizionò di fronte a lui e sollevò la gonna fino a metà coscia. Lo fissò negli occhi, cercando di cogliere ogni più piccola reazione, ma lo sguardo finiva per correre sempre lì, al membro poco eretto, ai movimenti forsennati della mano. Allora preferì fissare il vuoto e non pensare alla mostruosità di un tale atto complice.

«Di più», gemette lui, supplichevole, con la voce stentata del momento. Lei ricacciò indietro i savi pensieri che le avrebbero impedito di andare oltre. Suo figlio aveva un disperato bisogno di lei. Già aveva osato. Allora doveva fare quel di più che lui le chiedeva. Sollevò in vita la gonna, fino a mostrare lo slip di cotone bianco. Le venne da pensare se la stoffa non fosse troppo trasparente, se lui non intuisse il nero della peluria non sufficientemente celata. Aveva poca importanza ora.

Il ragazzo stava reagendo a questo nuovo stimolo e lei lo guardava rivitalizzarsi.

«Ancora. Di più, mamma», domandò lui, senza interrompere il movimento che ora aveva assunto il giusto ritmo e che a breve sarebbe giunto alla solita soddisfacente conclusione.

No. Non era disposta a dare altro. Si ricompose e lasciò la stanza. Se suo figlio fosse andato fino in fondo o si sarebbe fermato, neppure lo voleva sapere. Già così era stato troppo. Non avrebbe dovuto assecondarlo. Aveva sbagliato e lo sapeva. Certo, una madre si dice che farebbe qualsiasi cosa per il proprio figlio, ma bisogna saper distinguere il bene dal male. Da spettatrice passiva si era tramutata in complice, in oggetto di stimolo. Aveva usato il proprio corpo per eccitare il ragazzo. Questo non andava affatto bene. […]

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