Di giorno madre, di notte… – Estratto dal Capitolo 5

Di notte
[…]

«Mamma, vado a lavarmi, prima che sia pronta la cena».
Quella frase fu come un campanello d’allarme. Perché il ragazzo ci aveva tenuto ad informarla? Si aspettava qualcosa? Certamente no. In qualsiasi caso, lei non sarebbe entrata nella stanza da bagno. Vide Franca che usciva dal bagno.
«Il signorino mi ha detto che non vuole più che sia io a lavarlo. Dice che ormai è abbastanza grande per farlo da solo. Cosa devo fare, signora?»
«Che domande. Lo hai visto anche tu che ormai è già un uomo…»
«Eccome, signora! … Oh, mi scusi, io non volevo…»
«Su, vai a fare qualcos’altro».
L’allusione della domestica circa la maturazione del figlio non l’aveva particolarmente infastidita. Certo non era bello che il personale si permettesse delle confidenze in proposito, ma non era stato fatto con malizia. Invece era ammirevole che il ragazzo avesse rifiutato l’assistenza per il bagno. Non si trattava di una forma di pudore. In casa, tutti è tre erano abituati a qualcuno che gli lavasse la schiena o che gli porgesse gli asciugamani, gli accappatoi o gli asciugasse i capelli. Nella decisione del figlio, Selvaggia volle leggere uno degli effetti positivi dell’educazione militare. Lui aveva scelto di rinunciare ad un vizio.
Qualche minuto dopo, sentì il figlio chiamare a gran voce.
«Franca! Mamma! C’è nessuno in questa casa?».
Lei bussò alla porta della stanza da bagno ed entrò.
«Che succede, figliolo?».
Il ragazzo era in piedi, in mezzo alla stanza e completamente nudo.
«Non trovo più gli asciugamani!».
Il fatto di aver rifiutato l’ausilio della domestica, non aveva comportato comunque una totale autonomia.
«Lo sai dove sono. Li teniamo sempre nello stanzino della biancheria. La prossima volta, controlla prima di avere tutto quello che ti serve. Ora te li faccio portare da Franca».
Nuovamente si era trovata a tu per tu con la nudità del figlio. Quel corpo così sviluppato era un vero spettacolo. Si chiese se a Francesca Romana sarebbe piaciuto ritrarlo. Glielo avrebbe proposto alla prima occasione. Fu anche rassicurata dal fatto che il membro del giovane fosse in totale stato di riposo, a comprova che quello che era avvenuto mesi prima era un caso isolato.

[…]

L’intero romanzo qui

Altri romanzi li trovi qui

Di giorno madre, di notte… – Capitolo 6

Di notte
 
Quella prima notte in cui il figlio era tornato a casa, la madre fece fatica a prendere sonno. Era tormentata dai ricordi e preoccupata. Più che altro, era curiosa di sapere se il figlio avesse superato anche i tormenti notturni di cui era stata testimone. Dalla chiacchierata pomeridiana non aveva ricavato elementi sufficienti per capire se lui avesse avuto qualche tipo di esperienza sessuale e, tanto meno, se almeno avesse cominciato quelle pratiche solitarie tipiche della sessualità adolescenziale. Avrebbe cercato altri modi per venire a capo della faccenda. Intanto, però, temeva che il figlio potesse ancora patire. Da ciò che aveva visto del figlio, nella stanza da bagno, era più che certa che ormai fosse pronto per una vita sessuale piena e gratificante. Poteva solo augurarsi che il ragazzo avesse già fatto le prime esperienze. Solo a notte fonda il sonno ebbe il sopravvento.
Il poco sonno di cui aveva fruito influenzò anche la mattinata seguente di Selvaggia. Si trascinò per la casa, mentre il figlio sembrava in preda ad una frenesia che non lo faceva stare fermo un istante. Lui le propose di fare alcune attività insieme, ma lei declinò l’invito, preferendo restare un po’ da sola a leggere nel gazebo.
Anselmo passò veloce col suo cavallo, la salutò e sparì dietro ad un gruppo di ippocastani. A Selvaggia venne voglia di rivedere l’amica. Provò a raggiungerla a casa, ma il maggiordomo le disse che la signora era uscita e non sapeva quando sarebbe tornata. Si diresse all’atelier.
Francesca Romana era lì e stava lavorando. La fece accomodare sul divano, intanto che finiva la seduta. Un giovane, atletico e rigorosamente nudo, stava posando in una posa da novello Adamo, lo si capiva solo dalla mela che reggeva con una mano, poiché non vi era neppure la classica quanto pudica foglia di fico.
«Cosa te ne pare? È bello, vero?», chiese Francesca, mentre il modello si rivestiva.
«Sì, sei davvero brava»
«Macché, io mi riferivo a lui. Non trovi che abbia un corpo perfetto? E poi hai visto che dotazione».
Selvaggia era imbarazzata. Non era il genere di conversazione che amava fare, specie considerato che l’oggetto di quegli apprezzamenti era lì e si compiaceva delle parole della donna.
Appena furono sole, Francesca Romana prese a baciare Selvaggia, la quale però si ritrasse.
«Non sarai mica gelosa?», le chiese la Fiorentini, tra il preoccupato ed il divertito.
«No, figurati. Ho ben altro per la testa»
«Allora mettiti comoda. Ti preparo qualcosa di fresco da bere e poi mi racconti tutto».
Ci vollero un paio di bicchieri, prima che Selvaggia cominciasse a sciogliersi e a parlare di quello che più l’angosciava. Raccontò ogni cosa, senza trascurare le proprie paure, i dubbi, i sensi di colpa.
«È una situazione difficile da giudicare e neppure voglio farlo», disse Francesca. «Quello che hai fatto, lo hai fatto perché sentivi che era giusto. Le reazioni di una madre di fronte alle sofferenze di un figlio sono imprevedibili, quanto estreme, se necessario. Probabilmente avrei fatto altrettanto. Sono anche convinta che si sia trattato di una situazione momentanea. Mi riferisco al suo gesto di tenere la tua mano sul proprio sesso, mentre lo asciugavi. Una reazione istintiva, un senso di piacere quasi inconsapevole. Visto che ora sembra più socievole e aperto, è probabile che se tu insisterai a parlare con lui, scoprirai se ha già avuto delle esperienze. Ricordo che mia figlia è stata più restia del maschio, ma entrambi sono venuti da me a confidarsi e chiedermi consiglio. Alla fine, i ragazzi sono tutti uguali e, sotto sotto, gli fa piacere sapere di avere una madre pronta ad ascoltarli».
Selvaggia assentì. Anselmo era quel tipo di ragazzo? Le era parso sempre abbastanza schivo, anche se, doveva ammettere, sembrava essere cambiato.
«Comunque sia», riprese l’amica. «Se sei ancora preoccupata al punto di non riuscire a dormire neppure questa notte, non ti fare scrupoli e vai a controllare»
«E se lo dovessi trovare ancora in quella condizione?»
«Be’, in quel caso, se è ben messo come il modello che stavo dipingendo prima, chiamami che ci penso io. Ahahah. Scherzi a parte, ci sono due sole strade: o lo svegli e affronti insieme a lui la situazione, oppure ti comporti come l’altra volta e allevi i suoi patimenti, se così si possono chiamare».
Selvaggia avrebbe preferito un suggerimento più risolutivo, ma questo era l’unico e non se la sentiva di rivolgersi a nessun altro. Tornò quindi a casa e attese che la notte calasse. Con le tenebre, la vecchia dimora sembrava ancora più grande. Dal ballatoio del primo piano si vedeva l’intero atrio che svaniva nel buio. Ogni tanto, uno scricchiolio proveniva dal piano superiore, segno che qualcuno dei domestici che dimoravano lì era ancora sveglio. Forse la vecchia tata, quella che aveva accudito Augusto sin dalla nascita e che ormai era parte integrante di quelle mura, quasi fosse stata costruita insieme ad esse. Era molto anziana e assai poco efficiente, ma quella casa era tutta la sua vita. Nessuno si sarebbe mai sognato di allontanarla. Adesso aveva alcuni problemi di salute e soffriva di insonnia. Selvaggia provò pena per quella donna che aveva speso un’intera esistenza per una famiglia non sua, rinunciando a farsene una propria.
Il silenzio era tale che si sentirono le campane dell’orologio della chiesa del paese, che distava un paio di chilometri, battere tre rintocchi. Lentamente, Selvaggia girò la maniglia della stanza in cui Anselmo dormiva. Sentiva il respiro regolare del ragazzo e ne fu lieta. Si sedette sulla poltroncina e rimase a contemplarlo alla flebile luce che filtrava dalle imposte. Probabilmente fuori c’era la luna piena. Improvvisamente lui cominciò ad agitarsi nel sonno, poi a mugugnare parole incomprensibili ed infine a chiamare mamma, con un tono doloroso. D’impulso lei sollevò il lenzuolo. Il figlio dormiva completamente nudo, ma il membro, a differenza delle altre volte, era a riposo. Anselmo era ancora agitato e la madre pensò che dovessero esservi altre ragioni. Forse si trattava di un semplice incubo, non collegato a qualcosa di fisico. Come aveva già fatto, provò a toccare il sesso con la punta di un dito. Questa volta non si mosse, ma il giovane gemette ugualmente. Riprovò una seconda volta, ottenendo il medesimo risultato. Alla terza vi fu un piccolo sussulto delle carni. Significava che stava provando dolore? Era impossibile dirlo. Poi la trasformazione avvenne sotto i suoi occhi. Il membro cominciò ad inturgidirsi, raggiungendo presto l’erezione completa. Le tornarono in mente le parole dell’amica. Doveva decidere se svegliarlo o no. Intanto la sua mano era già intorno a quel pezzo di carne, incerta se muoversi o meno. Si disse che poteva farlo anche questa volta. Il ragazzo gemeva di piacere e lei cercava di capire quando tutto sarebbe finito. Si stava protraendo più del solito ed era terrorizzata all’idea che lui si potesse svegliare e sorprenderla in quella situazione tanto difficile da giustificare. I gemiti si fecero più intensi e, finalmente, il ragazzo raggiunse l’appagamento. Prima che lei potesse ritirare la propria mano, quella di Anselmo fu sulla sua e la premette con forza contro di sé, come aveva fatto quella volta, dopo il bagno.
Selvaggia si divincolò e corse nella propria stanza, col cuore che le batteva a mille.Non aveva chiuso occhio tutta la notte, domandandosi cosa in realtà fosse accaduto. Attese con impazienza il momento della colazione, quando avrebbe rivisto il figlio. Anselmo arrivò puntuale, come suo solito, salutò il padre, baciò sulla fronte la madre e si accomodò al proprio posto, dove gli venne servito il caffellatte coi biscotti e le fette di pane imburrato e marmellata.
Selvaggia lo scrutò attentamente. Le sarebbe bastato cogliere anche una sola occhiata strana del figlio per convincersi che lui era cosciente. Invece Anselmo si comportava come se nulla fosse. Era sveglio e riposato. Nessuna traccia di turbamento, di disagio, tanto meno di compiacimento, di malizia.
«Che programmi hai per la giornata?»
«Nessuno, padre»
«Allora perché non vieni con me, devo fare un sopralluogo per un terreno che voglio acquistare, dove impianterò una nuova fabbrica. Magari potrebbe interessarti»
«Come vuoi tu».
«Ma non devi studiare un po’ il pianoforte?», domandò Selvaggia.
«Non preoccuparti, mamma. Lo farò quando torno e ti dedicherò un notturno di Chopin che ho appena imparato».
Padre e figlio uscirono. Selvaggia salì al piano di sopra dove si imbatté in Franca che stava uscendo dalla stanza del giovane con in braccio le lenzuola.
«Rifaccio il letto, signora. Il ragazzo sta crescendo».
L’allusione era alla polluzione notturna. Questo le fece pensare che il figlio non potesse non essersi accorto almeno di questo. Probabilmente si sarebbe vergognato a parlarne con lei, ma non poteva negare l’evidenza. Restava da scoprire se quel gesto era stato automatico, fatto nel sonno, o nascondeva qualcosa di diverso.
«Sai, cara, cosa penso?», le disse Francesca, che era arrivata nel primo pomeriggio, dopo che Selvaggia le aveva detto che aveva urgenza di parlarle. «A mio avviso la stai prendendo nel modo sbagliato. È assodato che fisicamente tuo figlio non abbia nulla che non vada. Ricordati che è in piena adolescenza. È come una molla caricata al massimo. Basta un niente. Se tu lo hai toccato, lui ha reagito. Tutto qui»
«Va bene», acconsentì Selvaggia. «Il problema è un altro. Voglio sapere se quando lui ha afferrato la mia mano era consapevole di ciò che stava facendo, oppure era ancora addormentato»
«Fa ben poca differenza. Mettiti al posto suo. Stai avendo un sogno erotico, magari un po’ agitato, ma pur sempre eccitante. Improvvisamente il tuo corpo reagisce ad uno stimolo esterno. Ti svegli e ti accorgi che tua madre ti sta facendo una sega. O ti metti ad urlare come un ossesso, oppure fai finta di niente e ti abbandoni al piacere»
«Non capisci? Io devo sapere. Può anche darsi che lui fosse già sveglio da prima, oppure che si sia svegliato durante. Come lo spieghi che quando è venuto ha voluto che trattenessi la mia mano su di lui?»
«Ma cara, molto probabilmente tu ti sei fermata troppo presto e lui era ancora mosso dai sussulti interiori che solo il prolungamento della pressione potevano portare a compimento. Che vuoi che sia? È andata così. Non ne devi fare un dramma. Casomai astieniti dall’andare in camera sua di notte»
«Forse hai ragione tu. Dovrei lasciare le cose come stanno. Tu, al posto mio, sapresti ignorare un potenziale problema di uno dei tuoi figli?»
«Difficile dire cosa sia la soluzione migliore. Anche perché non sei neppure sicura che ci sia un reale problema. Comunque sia, se proprio vuoi andare avanti in questa storia, posso stare io in camera con lui. Di sicuro non mi faccio problemi a toccarlo e dargli quell’appagamento che il suo corpo sembra tanto reclamare. In fin dei conti non è mio figlio»
«Non dirlo neppure per scherzo. È solo un ragazzo!»
«Va bene, non ti scaldare. Era tanto per dire. Prima o poi qualcuna arriverà e se lo porterà via. Questa è una realtà a cui devi prepararti»
«Lo so bene, ma preferisco aspettare ed evitare che intanto tu ne approfitti»
«Suvvia, adesso non fare la permalosa. Vieni qui baciami».

Disponibile nello store di Streetlib