Voglio la mamma – Estratto dal Capitolo 3

Sebbene smaniassi per ulteriori momenti di intimità con la mamma, nei giorni seguenti non feci nulla per forzare la mano in maniera esplicita. Quando ero da solo, continuavo domandarmi quali potessero essere i pensieri di mamma in merito al mio comportamento. Sapevo di non poterne venire a capo, così cercavo di fare altro, di distrarmi in qualche modo. Non era certo difficile, specie perché nel gruppo di amici che frequentavo avevano fatto ingresso un paio di ragazze molto interessanti e tutti noi maschi ci eravamo messi in testa di conquistarle. Insomma, facevamo tutti i galletti e risultavamo una massa di cretini. Era comunque divertente. Avevo le stesse probabilità degli altri e, come gli altri, credevo di averne più di loro. C’era il piacere di mettersi in gioco, di cimentarsi, esporsi anche alla derisione benevola. Mi sentivo particolarmente vivo in quelle situazioni. Eppure sentivo che una parte di me si muoveva autonomamente lungo un percorso intimo e privato. In me c’erano sentimenti che faticavo a comprendere, perché non erano nuovo, quanto una mutazione di quello che avevo sempre avuto in me. Stentavo però a prenderne coscienza, ad accettare il cambiamento. Sempre più spesso mi capitava di pensare al senso della famiglia, riflettendo sugli strani legami che si creano all’interno e che possono andare oltre ciò che è dato di natura. Alla mia famiglia mi ero sempre sentito legato perché ci ero nato dentro, quindi senza la necessità di mettere in discussione lo stato di cose. Eppure potevano esserci altri aspetti che andavano considerati. A quell’età era naturale sviluppare un senso di competizione e di rifiuto dell’autorità paterna. Con mia sorella invece non c’erano particolari tensioni, anche perché avevamo ciascuno il proprio spazio e quindi era difficile entrare in conflitto. Alla mamma volevo un gran bene. Ma ora la vedevo con occhi diversi. Non era solo mia madre. Era una donna. Una donna molto particolare e che mi era vicina. Ciò innescava in me altri desideri e i desideri premevano per mutarsi in azioni e prendere vita.

Ormai l’aspettavo al varco. Così la volta successiva che tornò in camera dopo il bagno, mi precipitai da lei e mi offrii di passarle la crema sulle gambe.
«Grazie, tesoro, ma ho già fatto»
«Ah, sì?», ero interdetto. Eppure non ero arrivato tardi. Evidentemente doveva essersela messa quando ancora era nella stanza da bagno.
«E non te la devi mettere anche sulla schiena?»
«Dove potevo, l’ho già fatto…»
«Allora lascia che finisca io. Posso arrivare dove tu non riesci. Mettiti già sul letto e fatti massaggiare»
Non fece resistenze. Si mise prona e fece scivolare l’asciugamano verso le reni, scoprendo tutta la schiena. Cominciai dalla nuca e dalle spalle, ma il mio sguardo la percorreva tutta, sino all’asciugamano e oltre, dove la pelle delle cosce tornava ad essere nuda. Ci mettevo molto impegno e facevo tutto lentamente. Per qualche breve istante sfiorai persino i seni che emergevano dai lati della schiena, poiché erano schiacciati contro il letto. Solo lievi sfioramenti che lei poteva interpretare come accidentali. Ed infatti non reagì in alcun modo. Arrivato ai fianchi, l’asciugamano mi costringeva a fermarmi, a meno che… Senza interrompere il movimento massaggiante delle mani, scesi ulteriormente, spostando la stoffa fino a dove la carne cominciava a rialzarsi per creare quei due emisferi ancora sodi e ricchi di fascino. Mamma era rilassata e non diceva nulla. Andai avanti e ad ogni movimento la stoffa arretrava leggermente. Ormai la salita era terminata e cominciava la discesa. Volevo arrivare al punto in cui la fenditura delle natiche lascia il posto ad altre carni ben più segrete, ma per l’ennesima volta la mamma mi fermò prima che ciò potesse avvenire. Aveva come un sesto senso per intuire quale fosse il punto critico e fermarmi giusto un istante prima.
«Grazie, piccolo mio, sei stato così bravo e rilassante che ora voglio riposare un po’», nel mentre, col lenzuolo si ricoprì il corpo e poi fece scivolare da sotto l’asciugamano, che cadde sul pavimento. Era nuda eppure non la potevo vedere. Le diedi un piccolo bacio sulla testa e la lasciai sola. Ancora una volta mi ritrovavo nudo ed eccitato e ancora una volta mi vedevo costretto comunque ad essere grato di ciò che avevo avuto, perché era molto più di quanto fosse lecito desiderare. Ero attratto da mia madre, le volevo bene e la desideravo. Riuscivo a far conciliare questi aspetti altrimenti esclusivi tra di loro. Provavo un forte senso di passione, indefinito ma intenso. Mancava di un obiettivo finale, eppure era un motore potente, un magnete ed uno stimolo. Anche in quell’occasione mi ritirai nella mia stanza per darmi piacere immaginando il seguito che non c’era stato e pensando che forse la mamma mi aveva allontanato perché anche lei era stata eccitata dal mio contatto e quindi ora stava facendo la medesima cosa che facevo io, pensando a me. Sarebbe stato fantastico poterlo sapere.

[…]

Fu notevole la sorpresa il giorno in cui la mamma, prima di andare a fare il bagno, mi chiese se dopo le avrei passato io la crema sul corpo. La tendenza della mente umana è quella di interpretare gli eventi secondo un modello preconcetto che torna a proprio vantaggio, trascurando eventuali alternative meno confacenti. Se la mamma voleva che io le spalmassi la crema, significava che le aveva fatto piacere che lo avessi fatto la volta precedente, ma anche che era disposta a farsi vedere nuda e toccare da me. Era l’unico ragionamento che la mia mente poteva ammettere e questo era il pensiero che mi animava nell’attesa che la mamma finisse e mi chiamasse.
Entrai nella sua camera da letto molto agitato. Era un’eccitazione interiore, accompagnata da aspettative e timori. Cercavo di farmi coraggio perché sentivo che la paura mi spingeva a farmi piccolo piccolo. Una parte di me voleva che la mamma mi vedesse come il suo cucciolo da proteggere e questo contrastava coi miei desideri morbosi che mi avevano portato a quel punto.
Volle che cominciassi dalla schiena, così si mise nuovamente a pancia in giù, sul letto, spostando l’asciugamano.
«Se devo metterti la crema anche sulle gambe, questo non ti serve», le dissi, mentre toglievo completamente l’asciugamano e mettevo alla luce i suoi glutei tondi. Lei non fece obiezioni. Finalmente era completamente nuda, anche se l’essenziale restava precluso al mio sguardo. Fui minuzioso e capillare nel massaggiarle il corpo. Ebbi solo un attimo di esitazione quando si trattò di toccarle i glutei. Quasi mi tremavano le mani e sentivo l’erezione pulsare nei pantaloni. Mi muovevo con delicatezza, ma il desiderio era quello di affondare le dita nella carne e divaricare quanto possibile i due globi per poter svelare i suoi pertugi. Non ne ebbi il coraggio, anzi mi affrettai a passare alle cosce e poi giù verso i polpacci.
«Girati, che ti passo la crema sul davanti»
«No, grazie, caro, quello posso farlo da sola. Ora puoi andare».
Che cosa mi ero aspettato? Che lei si voltasse e si offrisse totalmente a me? Una parte di me, effettivamente, era quello che aveva sperato, ma era un’aberrazione della mia mente che non avrebbe potuto avere alcun fondamento. Deluso, mi ritirai nella mia camera e neppure potei masturbarmi, perché di lì a poco arrivò Mara, tornata dalla palestra, che si mise a chiacchierare di non so neppure cosa.

[…]

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Voglio la mamma – estratto dal Capitolo 1

Ero un bambino, probabilmente di circa sei o sette anni, quando vidi i miei genitori fare sesso. Eravamo al mare, in un piccolo appartamento di quelli che si affittano per qualche settimana e che costituiscono la maggior parte di piccole cittadine rivierasche, formando intrichi di vie zeppe di auto di villeggianti, parcheggiate con ordine e protette alla meglio dai raggi del sole che vi batteranno sopra costantemente e a lungo, poiché verranno rimesse in moto solo a fine vacanza.. Mia sorella, che è più grande di me di un paio di anni, dormiva nel suo letto, in quella che era la nostra stanzetta, piccola e disordinata, coi mobili economici e gli spazi risicati. Io invece non avevo sonno, non mi andava proprio di fare il riposino pomeridiano prima di tornare in spiaggia. Mi ero messo a letto, buono buono, solo perché la mamma mi aveva promesso che poi, prima di andare al mare, mi avrebbe comprato le pinne nuove, perché quelle vecchie le avevo perse. Quando nuotavo con le pinne, mi sentivo un siluro, mi sembrava di poter dominare i flussi e di fare quello che nessun altro umano era in grado di fare. Le pinne le indossavo ancora prima di entrare in acqua, perché volevo che tutti mi vedessero e che sapessero a quali prodezze mi accingevo. Purtroppo però il fondo sabbioso aderiva a quella superficie allargata e faceva una sorta di effetto ventosa, così capitava facilmente che io sollevassi il piede e che questo non calzasse più la pinna, rimasta incollata al fondale. La natura stessa del mare, in quella zona, rendeva l’acqua torbida e io non riuscivo a vedere dove fosse rimasta la mia pinna. Se avevo fortuna, seguendo la direzione della corrente, potevo sperare di ritrovarla, prima o poi, spiaggiata, qualche decina di metri più un là di dove l’avevo persa. Quella volta però non era andata così bene, così dovevo solo confidare nella bontà della mamma.

La camere dei nostri genitori era di fianco alla nostra stanzetta ed il mio letto era addossato alla parete che divideva i due ambienti. Il tempo sembrava non passare mai ed io mi ero stufato di stare lì, nella penombra e nel silenzio, mentre le meraviglie dell’estate erano là fuori ad aspettarmi. Mi immaginavo che in spiaggia gli amichetti stessero giocando con le biglie, oppure schizzandosi l’acqua in mare a vicenda. Invece io dovevo aspettare che i miei genitori si svegliassero. Detestavo quei pisolini del dopo pranzo, non li capivo e non sentivo di averne bisogno, tanto ero elettrizzato dalle circostanze.

Ad un certo punto avvertii dei rumori nella stanza accanto. M’immaginai che la mamma si fosse svegliata e che sarebbe venuta a chiamarci di lì a pochi minuti. Attesi paziente, ma non avvenne nulla. Posai l’orecchio sulla parete, in cerca di altri rumori e sentii qualcosa di indistinto. Inequivocabilmente erano svegli e quindi dovevo assolutamente sollecitarli affinché andassimo in spiaggia, dopo la tanto agognata sosta in quella sorta di mini bazar che tipica di certi negozi prossimi alla spiaggia. Mi alzai dal letto e andai verso la loro camera. I rumori che giungevano però erano strani, quasi inquietanti. Subito temetti che uno dei miei genitori stesse poco bene e questo avrebbe compromesso il pomeriggio, se non il resto dalla vacanza. Pregai che non fosse così. Frenai la mia irruenza e decisi di aprire delicatamente la porta, per evitare di disturbarli e per vedere cosa stesse realmente accadendo. Fu così che per la prima volta vidi i miei genitori completamente nudi. Papà le stava sopra ed ansimava, mamma sembrava più passiva, quasi sopraffatta, e mugolava. Ero immobile, calamitato da quella scena che mi attraeva e mi provocava disgusto al tempo stesso. Perché facevano così? Intuivo vagamente quello che vedevo e non me ne capacitavo. Ero troppo piccolo per comprendere certe cose ed ero abbastanza cresciuto per sapere che erano cose da grandi quelle cose di cui si allude solamente, in presenza di un bambino. Solo quando ebbi la sensazione che mia madre si fosse accorta della mia presenza, silenziosamente e col cuore che batteva all’impazzata, mi ritirai.

Non era molto chiaro quello a cui avevo assistito e lo sarebbe stato solo molti anni più tardi. Al momento, la vaga intuizione che ne avevo era sufficiente per farmi capire che si era trattato di una cosa che non avrei dovuto vedere. Dal momento che non ero neppure sicuro che mamma si fosse accorta di me e che, in seguito non mi disse nulla né mi rimproverò, decisi di non parlarne con nessuno. Né coi miei amici, né con mia sorella. La mamma venne a chiamarci per scendere in spiaggia, trattenni il fiato, in attesa di una sua qualche reazione, ma non ve ne fu alcuna. La questione era chiusa e, col passare degli anni, me ne dimenticai.

[…]

Lasciate cadere le mie cose sul letto, aprii la porta del bagno mentre già mi stavo sbottonando i pantaloni. Rimasi paralizzato nel momento in cui mi resi conto che, di fronte a me, c’era mia madre, completamente nuda, che si stava facendo la doccia. Si accorse di me ed emise un gridolino di spavento, coprendosi immediatamente con un asciugamano. Feci dietro front e mi richiusi la porta alle spalle. Cosa diamine era successo? E comunque non avrebbe dovuto succedere, perché ora il mio imbarazzo era tale che non sapevo come avrei reagito nel rivederla. Ero anche arrabbiato, perché lei aveva violato il mio spazio. Se aveva rifiutato di utilizzare quel luogo in condivisione con mia sorella, adesso non poteva appropriarsene a mio discapito, mettendomi in simili situazioni. Naturalmente non le avrei detto nulla di tutto ciò, perché mi sentivo troppo a disagio, ma dentro di me ero parecchio agitato.

Qualche minuto dopo lei mi raggiunse.

«Scusami caro, nel mio bagno la doccia non funziona… e mi sono dimenticata che qui si entra da due parti e non pensavo che saresti tornato a casa così presto…»

«Non c’è problema mamma».

Ero comunque molto imbarazzato. La verità è che non ero abituato alla nudità nel contesto familiare. Già da tempo non avevo più condiviso con mia sorella il momento del bagno né ci eravamo più visti nudi, figurarsi poi i nostri gentori. Cercai di non pensarci più.

Quella notte stessa, però, feci degli strani sogni. Mi rividi bambino e fui spettatore dell’amplesso di mamma e papà, come quando vi avevo assistito per davvero, tanto tempo prima. Nel sogno però io ero all’interno della stanza e la mamma mi guardava, anzi, mi invitava ad avvicinarmi, perché potessi vedere ogni cosa nel dettaglio. Mi misi in ginocchio, ai piedi del letto, per osservare meglio come il sesso di mio padre la penetrava. Poi lei mi chiamò e mi disse di darle un bacio sulla bocca. Andai verso di lei e, intanto, papà le era sopra e si muoveva freneticamente. Poi lui si girò verso di me e, con orrore, mi resi conto che quello non era il volto di mio padre, bensì il mio. Mi svegliai di soprassalto, ero sudato, il cuore mi batteva forte ma, cosa assai peggiore, avevo un’erezione ed ero venuto nel pigiama. Non era certo il primo sogno erotico della mia vita, ma non ricordavo di aver mai sognato la mamma in un simile scenario. La visione di lei nella doccia mi aveva certamente traumatizzato.

Anzitutto andai a pulirmi, perché non volevo che rimanessero tracce sul pigiama, poi provai a riaddormentarmi, ma ero molto agitato. Mi infastidiva il fatto che, sebbene si trattasse semplicemente di un sogno, era stato così intenso da farmi venire. Per di più mi sconvolgeva il fatto che avesse avuto per protagonista proprio la mamma. Quelle immagini mi tornavano alla mente e mi tormentavano. Nel dormiveglia arrivai persino al punto di pensare che, tutto sommato, la mamma era ancora una bella donna e che quindi non era stato male avere un’erezione per lei. Per fortuna caddi nuovamente addormentato e, il mattino seguente, ero già lontano da quei pensieri folli e pronto a riprendere la mia solita vita di adolescente.

[…]

Quando mi capitò nuovamente di sognare mia madre nuda, cominciai a preoccuparmi. Al risveglio, il mattino seguente, non ero bagnato, ma l’erezione c’era ed il senso di turbamento era ancora più forte. I dettagli del sogno erano svaniti. Ero certo che protagonista del sogno fosse mamma e che si trattasse di un sogno erotico che riguardava lei e me. I dettagli, tuttavia, si perdevano nei meandri della mente ed io ero frastornato, cosa che mi impediva di recuperare ulteriori frammenti di immagini oniriche. Permaneva la sensazione di piacere fisico che avevo provato nel sogno e questa non faceva altro che aumentare il senso di disagio. Com’era possibile che provassi eccitamento per il corpo di mia mamma? Mi ripugnava la sola idea che nel sonno avessi percepito come positive quelle aberrazioni. Sapevo che non si può controllare il mondo onirico, tuttavia era il mio corpo reale quello che ora era in piena erezione e faticava a mettersi a riposo. Quasi doleva, tanto era eccitato.

A quell’età, fare sogni erotici non è nulla di particolarmente strano. Fa parte del percorso di sviluppo. Avere dei sogni ricorrenti sulla propria madre invece è altra storia. Una storia di cui non si parla volentieri. Avrei dato qualsiasi cosa per sapere se anche i miei amici si erano trovati in situazioni analoghe. Come io non avevo il coraggio di confessare o di osare chiedere, immaginavo che anche loro avrebbero preferito tenere la bocca chiusa e quindi ero destinato a restare coi miei dubbi, anche per evitare di venir preso in giro gratuitamente. Era una situazione delicata e surreale, alla quale non volevo pensare. Mi sembrava tempo perso fare speculazioni su un paio di eventi isolati, sebbene avevano lasciato un’impressione molto forte in me. Ovviamente, quanto mi sforzavo di attribuirvi poca importanza, tanto la questione mi tornava prepotentemente in testa nei momenti più impensati. Per questa ragione, dopo la terza volta che feci un sogno erotico con la mamma come oggetto, e anche questa volta con tanto di polluzione nel pigiama, ero quasi terrorizzato all’idea che potesse ripetersi, che divenisse una costante, un tormento ricorsivo. Avevo già sentito parlare di sogni che si ripetono uguali nel corso della vita o che, sebbene siano ogni volta differenti, hanno sempre una struttura analoga e che tormentano il sonno, facendo perdere il senno alle persone. Andavo a letto con un senso di angoscia e di aspettativa circa quello che avrei sognato. Ero così spaventato da quello che avrei potuto sognare che quasi finivo per preferire di sognarlo realmente, perché l’evento sarebbe stato meno angosciante della sua attesa. Al mattino, risvegliandomi e dopo aver controllato la situazione all’interno dei pantaloni del pigiama, provavo un senso di sollievo nel constatare che non si era realizzata alcuna delle mie paure che avevano reso tanto difficile addormentarmi. Dimenticavo tutto e mi apprestavo a cominciare la solita giornata, lamentandomi perché avrei dovuto passare ore e ore sui banchi di scuola e cose di questo genere.

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