Sebbene smaniassi per ulteriori momenti di intimità con la mamma, nei giorni seguenti non feci nulla per forzare la mano in maniera esplicita. Quando ero da solo, continuavo domandarmi quali potessero essere i pensieri di mamma in merito al mio comportamento. Sapevo di non poterne venire a capo, così cercavo di fare altro, di distrarmi in qualche modo. Non era certo difficile, specie perché nel gruppo di amici che frequentavo avevano fatto ingresso un paio di ragazze molto interessanti e tutti noi maschi ci eravamo messi in testa di conquistarle. Insomma, facevamo tutti i galletti e risultavamo una massa di cretini. Era comunque divertente. Avevo le stesse probabilità degli altri e, come gli altri, credevo di averne più di loro. C’era il piacere di mettersi in gioco, di cimentarsi, esporsi anche alla derisione benevola. Mi sentivo particolarmente vivo in quelle situazioni. Eppure sentivo che una parte di me si muoveva autonomamente lungo un percorso intimo e privato. In me c’erano sentimenti che faticavo a comprendere, perché non erano nuovo, quanto una mutazione di quello che avevo sempre avuto in me. Stentavo però a prenderne coscienza, ad accettare il cambiamento. Sempre più spesso mi capitava di pensare al senso della famiglia, riflettendo sugli strani legami che si creano all’interno e che possono andare oltre ciò che è dato di natura. Alla mia famiglia mi ero sempre sentito legato perché ci ero nato dentro, quindi senza la necessità di mettere in discussione lo stato di cose. Eppure potevano esserci altri aspetti che andavano considerati. A quell’età era naturale sviluppare un senso di competizione e di rifiuto dell’autorità paterna. Con mia sorella invece non c’erano particolari tensioni, anche perché avevamo ciascuno il proprio spazio e quindi era difficile entrare in conflitto. Alla mamma volevo un gran bene. Ma ora la vedevo con occhi diversi. Non era solo mia madre. Era una donna. Una donna molto particolare e che mi era vicina. Ciò innescava in me altri desideri e i desideri premevano per mutarsi in azioni e prendere vita.
Ormai l’aspettavo al varco. Così la volta successiva che tornò in camera dopo il bagno, mi precipitai da lei e mi offrii di passarle la crema sulle gambe.
«Grazie, tesoro, ma ho già fatto»
«Ah, sì?», ero interdetto. Eppure non ero arrivato tardi. Evidentemente doveva essersela messa quando ancora era nella stanza da bagno.
«E non te la devi mettere anche sulla schiena?»
«Dove potevo, l’ho già fatto…»
«Allora lascia che finisca io. Posso arrivare dove tu non riesci. Mettiti già sul letto e fatti massaggiare»
Non fece resistenze. Si mise prona e fece scivolare l’asciugamano verso le reni, scoprendo tutta la schiena. Cominciai dalla nuca e dalle spalle, ma il mio sguardo la percorreva tutta, sino all’asciugamano e oltre, dove la pelle delle cosce tornava ad essere nuda. Ci mettevo molto impegno e facevo tutto lentamente. Per qualche breve istante sfiorai persino i seni che emergevano dai lati della schiena, poiché erano schiacciati contro il letto. Solo lievi sfioramenti che lei poteva interpretare come accidentali. Ed infatti non reagì in alcun modo. Arrivato ai fianchi, l’asciugamano mi costringeva a fermarmi, a meno che… Senza interrompere il movimento massaggiante delle mani, scesi ulteriormente, spostando la stoffa fino a dove la carne cominciava a rialzarsi per creare quei due emisferi ancora sodi e ricchi di fascino. Mamma era rilassata e non diceva nulla. Andai avanti e ad ogni movimento la stoffa arretrava leggermente. Ormai la salita era terminata e cominciava la discesa. Volevo arrivare al punto in cui la fenditura delle natiche lascia il posto ad altre carni ben più segrete, ma per l’ennesima volta la mamma mi fermò prima che ciò potesse avvenire. Aveva come un sesto senso per intuire quale fosse il punto critico e fermarmi giusto un istante prima.
«Grazie, piccolo mio, sei stato così bravo e rilassante che ora voglio riposare un po’», nel mentre, col lenzuolo si ricoprì il corpo e poi fece scivolare da sotto l’asciugamano, che cadde sul pavimento. Era nuda eppure non la potevo vedere. Le diedi un piccolo bacio sulla testa e la lasciai sola. Ancora una volta mi ritrovavo nudo ed eccitato e ancora una volta mi vedevo costretto comunque ad essere grato di ciò che avevo avuto, perché era molto più di quanto fosse lecito desiderare. Ero attratto da mia madre, le volevo bene e la desideravo. Riuscivo a far conciliare questi aspetti altrimenti esclusivi tra di loro. Provavo un forte senso di passione, indefinito ma intenso. Mancava di un obiettivo finale, eppure era un motore potente, un magnete ed uno stimolo. Anche in quell’occasione mi ritirai nella mia stanza per darmi piacere immaginando il seguito che non c’era stato e pensando che forse la mamma mi aveva allontanato perché anche lei era stata eccitata dal mio contatto e quindi ora stava facendo la medesima cosa che facevo io, pensando a me. Sarebbe stato fantastico poterlo sapere.
[…]
Fu notevole la sorpresa il giorno in cui la mamma, prima di andare a fare il bagno, mi chiese se dopo le avrei passato io la crema sul corpo. La tendenza della mente umana è quella di interpretare gli eventi secondo un modello preconcetto che torna a proprio vantaggio, trascurando eventuali alternative meno confacenti. Se la mamma voleva che io le spalmassi la crema, significava che le aveva fatto piacere che lo avessi fatto la volta precedente, ma anche che era disposta a farsi vedere nuda e toccare da me. Era l’unico ragionamento che la mia mente poteva ammettere e questo era il pensiero che mi animava nell’attesa che la mamma finisse e mi chiamasse.
Entrai nella sua camera da letto molto agitato. Era un’eccitazione interiore, accompagnata da aspettative e timori. Cercavo di farmi coraggio perché sentivo che la paura mi spingeva a farmi piccolo piccolo. Una parte di me voleva che la mamma mi vedesse come il suo cucciolo da proteggere e questo contrastava coi miei desideri morbosi che mi avevano portato a quel punto.
Volle che cominciassi dalla schiena, così si mise nuovamente a pancia in giù, sul letto, spostando l’asciugamano.
«Se devo metterti la crema anche sulle gambe, questo non ti serve», le dissi, mentre toglievo completamente l’asciugamano e mettevo alla luce i suoi glutei tondi. Lei non fece obiezioni. Finalmente era completamente nuda, anche se l’essenziale restava precluso al mio sguardo. Fui minuzioso e capillare nel massaggiarle il corpo. Ebbi solo un attimo di esitazione quando si trattò di toccarle i glutei. Quasi mi tremavano le mani e sentivo l’erezione pulsare nei pantaloni. Mi muovevo con delicatezza, ma il desiderio era quello di affondare le dita nella carne e divaricare quanto possibile i due globi per poter svelare i suoi pertugi. Non ne ebbi il coraggio, anzi mi affrettai a passare alle cosce e poi giù verso i polpacci.
«Girati, che ti passo la crema sul davanti»
«No, grazie, caro, quello posso farlo da sola. Ora puoi andare».
Che cosa mi ero aspettato? Che lei si voltasse e si offrisse totalmente a me? Una parte di me, effettivamente, era quello che aveva sperato, ma era un’aberrazione della mia mente che non avrebbe potuto avere alcun fondamento. Deluso, mi ritirai nella mia camera e neppure potei masturbarmi, perché di lì a poco arrivò Mara, tornata dalla palestra, che si mise a chiacchierare di non so neppure cosa.
[…]
Il romanzo completo lo trovi qui
Altri racconti erotici di Andrea li trovi su IBS